Stato imprenditore e liberalismo: una sintesi possibile

L’accostamento delle parole Stato e imprenditore fa subito storcere il naso alla (quasi) totalità di chi si riconosce nel pensiero liberale. La mente si riempie subito di cupi pensieri: assistenzialismo, inefficienza, sperpero di denaro pubblico, clientelismo, …Alitalia! I liberali più aperti nei confronti dell’intervento statale in economia ne tollerano l’azione solo in presenza dei fallimenti di mercato; in qualsiasi altra circostanza, lo stato deve lasciare la mano invisibile libera di agire. Tuttavia eventi come la crisi finanziaria degli anni Dieci e la pandemia hanno mostrato come non si possa vivere di dogmi, soprattutto quando ci si riferisce ad una scienza sociale come quella economica, per la quale non esistono leggi matematiche affidabili. Proprio durante la pandemia, la combinazione di inventiva umana, coinvolgimento del settore privato e ampio supporto pubblico (dalla ricerca di base sino ai massicci sussidi) ha dato i suoi frutti migliori, permettendo la realizzazione e messa in commercio dei vaccini anti-Covid 19. Si può quindi ipotizzare un efficacie intervento dello Stato in economia che vada oltre al fallimento di mercato? Se sì, con quali caratteristiche?

Il caso italiano: IRI e suoi eredi

Secondo uno studio della Camera, nel 2018 c’erano 32.427 partecipate statali. Concentrandoci su quelle rilevanti dal punto di vista industriale, il MEF detiene partecipazioni di maggioranza/controllo in 35 società, di cui 12 quotate e con una capitalizzazione pari al 27,6% dell’intera borsa italiana. Facendo un confronto a livello continentale, questi ultimi dati sono in linea con quelli della Francia e decisamente più alti rispetto alla Germania (che ha solo 6 imprese a controllo pubblico tra le principali 50). Tuttavia, le partecipazioni pubbliche italiane hanno un valore contabile inferiore rispetto a quelle europee, e occupano – in termini relativi – una quota di forza lavoro superiore.

Quello descritto non è che il punto di arrivo di quasi un secolo imprenditoria statale che ha avuto il suo perno nell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Sopravvissuto alla guerra, negli anni ’50 l’IRI adottò una nuova strategia industriale: sviluppare la grande industria di base e le infrastrutture necessarie al Paese in cooperazione coi privati. A questa logica subentrò l’idea che l’IRI non dovesse necessariamente seguire criteri imprenditoriali, ma piuttosto gli interessi della collettività anche a costo di effettuare investimenti antieconomici. Fu così che l’IRI si dedicò a numerosi salvataggi di imprese in difficoltà finanziaria, incrementando il suo attivo e numero di dipendenti. Questa nuova politica si dimostrò presto finanziariamente insostenibile e, insieme alle norme europee di contrasto agli aiuti di Stato, portò al progressivo smobilizzo delle partecipazioni in mano all’IRI e alla sua chiusura.

Oggi, il ruolo che fu dell’IRI viene spesso attribuito ad istituti come Cassa Depositi e Prestiti (CdP) e Invitalia. Sebbene da un punto di vista formale entrambi gli enti ragionino in termini di profittabilità degli investimenti, non sono mancate le critiche all’utilizzo di questi istituti per mantenere in vita imprese decotte per motivi di opportunità politica e senza alcuna visione strategica.

Esempi virtuosi: USA, Germania e Israele

Dal difuori dei confini italiani giungono però degli esempi virtuosi dell’intervento dello Stato in economia, anche da nazioni che non vantano una grande tradizione di dirigismo statale, come nel caso degli USA.

Se oggi disponiamo degli smartphone, da un lato è sicuramente per merito di imprese come Apple che hanno investito sullo sviluppo e la commercializzazione delle tecnologie che compongono questi dispositivi; dall’altra è proprio grazie all’intervento dello Stato americano se ciò è stato possibile. Attraverso infatti agenzie come la DARPA o il programma SBIR, il governo degli Stati Uniti ha messo ricerca di base e fondi a disposizione di numerose start up innovative e di piccole imprese. Il GPS, gli hard-disk, i touch-screen sono stati tutti sviluppati a partire dalle ricerche volute o finanziate dalle amministrazioni pubbliche (si veda il grafico).

Figura 1 Fonte: American Competitiveness Initiative: Leading the World in Innovation (2006)

In Germania la figura dello stato imprenditore si declina prevalentemente attraverso due istituti: la Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) e la Fraunhofer-Gesellschaft. A differenza dell’italiana CdP, la banca KfW non si finanzia attraverso i depositi dei cittadini, ma tramite operazioni di mercato (in particolare emissione di titoli obbligazionari). Il suo perimetro di azione è più ampio rispetto a quello di CdP; oltre al finanziamento di PMI e di start up, la banca finanzia anche attività di utilità sociale e attività di export e project finance. L’organizzazione di ricerca Fraunhofer ha invece il compito di supportare la pubblica amministrazione e l’industria privata nell’applicazione pratica di tutte le innovazioni prodotte dalla ricerca di base. Proprio le commesse ricevute dalla pubblica amministrazione e dai privati costituiscono il 70% del budget complessivo dell’istituto che, nel 2018, contava 6.881 brevetti all’attivo.

L’approccio di indirizzo della ricerca e di supporto finanziario iniziale ha contraddistinto anche il ruolo dello stato nella trasformazione di Israele, da Paese agricolo, in una start up nation. Nel 1993, il governo nazionale lanciò un’iniziativa di venture capital (Yozma) con la quale si impegnava a pareggiare sino al 40% dei fondi forniti dagli investitori privati. A questi ultimi veniva lasciata la maggior parte delle decisioni su dove investire i fondi. Nel 1998, considerando ormai il settore in grado di sostenersi autonomamente, il governo israeliano vendette tutte le sue quote. Da lì in avanti, Israele ha continuato ad aiutare lo sviluppo del settore tecnologico attraverso programmi di supporto alla Ricerca e Sviluppo, schemi di incentivo fiscale, iniziative di marketing e networking, così come la creazione di 24 centri di incubazione tecnologica. Infine, la grande attenzione di Israele verso la difesa militare ha positivamente contaminato il settore privato, incoraggiando lo sviluppo di numerose start up di cybersecurity.

La possibile sintesi: lo Stato innovatore

I casi di successo descritti dimostrano che per avere uno Stato imprenditore compatibile con le logiche dell’economia di mercato sia necessario superare il concetto stesso di “Stato imprenditore”, e aprirsi a quello di “Stato innovatore”. La storia industriale italiana ci ha abituato a nazionalizzazioni avvenute senza alcuna apparente logica strategica e per mera opportunità politica. Si tratta dell’esatto contrario di ciò che i casi di USA, Germania e Israele ci raccontano. In questi Paesi, lo Stato si è fatto innovatore finanziando e conducendo quelle attività di ricerca iniziale sulle tecnologie e garantendo supporto a quei settori che considerava strategici per mantenere alta la sua stessa competitività e garantire la sicurezza (militare, economica, sociale, sanitaria ecc.) dei cittadini. Gli operatori di mercato beneficerebbero, a quel punto, non solo del fatto che tutti i rischi iniziali legati alla ricerca di nuove tecnologie sarebbero già stati sostenuti dallo Stato, ma anche della creazione di mercati nuovi. Questa attività lo Stato la svolgerebbe sia mediante l’utilizzo di fondi pubblici, ma anche ricorrendo a strumenti di mercato (come i casi della KfW e del fondo Yozma ci insegnano). Nei casi più estremi, può essere valutabile la partecipazione pubblica in quelle imprese considerate strategiche per il Paese; concetto, questo, espresso anche nel Manifesto di Ventotene (cfr. cap. III)

Il corollario di ciò è che se lo Stato si fa carico dei rischi iniziali, allora – come tutti gli imprenditori – deve anche godere della remunerazione per questi rischi. Possibili policy in questo senso possono essere:

  1. Introduzione di una golden share sui diritti di proprietà intellettuale: in quei casi in cui un progresso tecnologico è stato finanziato direttamente dallo Stato, quest’ultimo potrebbe godere di una licenza royalty free per l’utilizzo della tecnologia prodotta, sino al completo rimborso del finanziamento. Diversamente, se si trattasse di tecnologie sviluppate direttamente da centri di ricerca pubblici (come nel caso della Fraunhofer) lo Stato incasserebbe le royalty derivanti dalla sua applicazione per finanziarie ulteriori fondi per l’innovazione.
  2. Prestiti e azioni vincolate al reddito: lo Stato potrebbe elargire finanziamenti che, non appena la società beneficiaria superi un certo livello di profitti, sarebbe obbligata a restituire almeno in parte. In alternativa, la facoltà di convertire il debito in capitale non appena la società generi utili.
  3. Banche per lo sviluppo: lo Stato potrebbe costituire banche che finanzino non solo lo sviluppo delle regioni interne, ma anche all’estero, creando così ulteriore mercato per le imprese nazionali.

Rimane tuttavia un requisito affinché lo Stato, da mero dirigista guidato da obiettivi di opportunità politica, diventi un innovatore dotato di visione strategica: le istituzioni pubbliche coinvolte dovranno essere guidate da persone che, oltre a credere nelle capacità dello Stato, conoscano e capiscano il processo di innovazione. Utopia? I fatti dicono di no.

/ 5
Grazie per aver votato!