Scritto durante il confino a Lipari tra il 1928 ed il 1929 e pubblicato per la prima volta in Francia nel 1930, Socialismo Liberale rappresenta il testamento spirituale di Carlo Rosselli. Con quest’opera Rosselli vuole dimostrare che socialismo e liberalismo non sono due concetti alternativi, ma che piuttosto “[i]l socialismo non è che lo sviluppo logico, sino alle estreme conseguenze, del principio di libertà”.
Critica al marxismo e al suo revisionismo
I primi cinque capitoli dell’opera sono dedicati alla critica del marxismo, al suo revisionismo, al dogmatismo adottato dai socialisti dell’epoca e alla necessità, da parte di questi ultimi, di abbandonare la cieca adesione al pensiero di Marx.
Il marxismo viene innanzitutto descritto come una sistema, una vera e propria concezione del mondo, in cui gli uomini non agiscono per volontà propria, ma perché mossi dal bisogno economico. Nel sistema marxista non c’è spazio per la libertà degli individui; tutto è determinato e risponde alle leggi della necessità storica.
Il discorso sul marxismo prosegue con l’identificazione di tre momenti nella storia: la fase religiosa, la fase critica e la fase di superamento del marxismo.
La prima fase, databile sino agli albori del Novecento, fu contraddistinta da un’adesione quasi unanime dell’élite socialista continentale alle tesi di Marx. Tra socialismo e marxismo si affermò una vera e propria identità. Chi si avvicinava al pensiero marxista, lo faceva con un’intransigenza quasi religiosa.
Col tempo però emerse una iato tra la teoria e pratica del marxismo che determinò l’inizio del revisionismo marxista. Rosselli si concentra principalmente sulle tesi revisioniste di Bernstein, Sorel e Mondolfo, tutti e tre accomunati dal tentativo di includere la volontà degli uomini all’interno del sistema marxista.
Rosselli rivolge principalmente due accuse ai revisionisti: l’aver tentato di considerare come marxista ciò che marxista non è (per l’autore la presenza della volontà umana nella storia non è prevista dal sistema congeniato da Marx), e il non essere stati incisivi nell’imporre la loro revisione (seppure non marxista) sul dogmatismo della classe dirigente socialista.
Per quanto concerne l’Italia, il marxismo venne acquisito da gran parte dei socialisti italiani in maniera totalmente acritica, abbandonando qualsiasi velleità di pensiero autonomo o originale nei confronti del marxismo. Tale adesione dogmatica al sistema marxista contraddistinse anche le successive fasi del socialismo italiano ed i giovani che non si riconoscevano nelle tesi di Marx erano destinati a fuoriuscire dal partito. Questo per Rosselli segnò la fine di un socialismo non di matrice marxista.
Il superamento del Marxismo
Dopo la disamina del sistema marxista e di come questo fece breccia nei movimenti socialisti, per Rosselli giunge il momento di tirare le somme di cosa era stato messo in luce dal revisionismo e di indentificarne le estreme conseguenze. Di fatto, dalle interpretazioni revisioniste è possibile dedurne logicamente che: a) si può essere socialisti senza essere marxisti, b) che sono degli illusi quei socialisti che credono di trovare nel marxismo la guida del concreto movimento socialista.
Rosselli conclude la sua critica al marxismo affermando che “la sua influenza si è fatta deviatrice e diseducatrice. Deviatrice, perché aggancia le fantasie e i cervelli ad una realtà di fatto superata; diseducatrice, perché fa appello a […] movimenti d’ordine inferiore – tipici di masse cui sia ancora preclusa ogni luce spirituale – in antitesi assoluta a quelli che una società socialista presuppone”.
È quindi giunto per Rosselli il momento che il socialismo superi definitivamente i suoi debiti col marxismo per abbracciare il metodo liberale: “il socialismo, colto nel suo aspetto più essenziale, è l’attuazione progressiva dell’idea di libertà e di giustizia tra gli uomini”, uno sforzo progressivo a garantire agli individui un’eguale possibilità di vivere una vita degna di questo nome liberandoli dalle schiavitù materiali, una possibilità di poter vivere esprimendo liberamente la propria personalità. È l’ora del socialismo liberale.
Muoversi nello spirito del Liberalismo e nella pratica del Socialismo
Il capitolo sesto del libro è totalmente dedicato alla definizione del socialismo liberale e alla sua concreta declinazione. Rosselli definisce innanzitutto il liberalismo come fine e allo stesso tempo mezzo; fine perché si pone l’obiettivo di conseguire un regime di vita associata in cui tutti gli individui possano pienamente esprimere le loro personalità; mezzo perché non si nasce liberi, ma lo si diventa “con duro personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni”. La condizione di libero, così come la si ottiene, la si può anche perdere se non si mantiene attiva la coscienza della propria autonomia e se non si esercitano le proprie libertà.
Il socialismo è invece definito come nient’altro “che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. [Esso] è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente”. Per Rosselli non è possibile essere liberi sino a quando sussistono condizioni di miseria materiale e morale. Le lotte dei socialisti per una più equa distribuzione delle ricchezze, per il prevalere dell’utile collettivo su quello egoistico, sono considerate da Rosselli lotte per la libertà.
Dopo queste definizioni, il capitolo prosegue con una disamina dell’atteggiamento della borghesia del tempo nei confronti del proletariato. Il liberalismo borghese, dopo aver condotto in passato le medesime lotte di emancipazione dei proletari, è descritto come una forza che cerca di arrestare il processo storico allo status-quo. Il dogmatico attaccamento del liberalismo borghese ai principi del liberismo economico (proprietà privata, diritto di eredità, piena libertà di iniziativa in tutti i campi e lo Stato come mero organo di polizia e difesa) ne ha sclerotizzato lo spirito dinamico. Il liberalismo per Rosselli è per definizione storicista e relativista; vede nella storia un perenne divenire e superamento. Niente gli è più repulsivo della stasi, dell’immobilismo e della fede di possedere verità assolute che contraddistinguevano i borghesi dell’epoca.
Il liberalismo allora non è più una caratteristica della borghesia, ma esso risiede tra le masse proletarie perché le uniche in grado di esprimere quella funzione rinnovatrice e di apertura che i borghesi hanno perso. Il socialismo, in quanto portatore delle istanze delle masse di poveri e di oppressi e che lotta contro l’assetto della società in nome dei bisogni di molti, diventa un movimento politico liberale e liberatore.
Il liberalismo per Rosselli si concretizza nel metodo liberale o democratico di lotta politica. Questo metodo presuppone che gli individui si amministrino da sé, senza interventi coercitivi o paternalistici, attraverso l’espressione della sovranità popolare nel sistema rappresentativo, la tutela dei diritti delle minoranze e di quei diritti fondamentali definitivamente acquisiti dalla coscienza moderna. Ciò comporta che non sia possibile essere liberi in regimi autoritari o tirannici, perché gli individui sarebbero privati della condizione di poter continuamente esercitare le proprie facoltà ed autonomie.
Il capitolo si conclude con un invito ai socialisti ad abbandonare il determinismo marxista che, data la rimozione della volontà umana dalla storia, non ha fatto altro che mortificare la spinta propulsiva del proletariato.
Lotta per la libertà
Dimostrata la continuità ideale tra liberalismo e socialismo, Rosselli si dedica all’esaltazione della lotta per la libertà. L’Italia di quegli anni è sotto la tirannia del fascismo, un fenomeno che per Rosselli non è altro che il frutto del carattere degli italiani. Per tantissimi anni, il popolo italiano è stato infatti tenuto in condizioni di miseria morale e materiale. L’influsso della chiesa cattolica ed il susseguirsi di governi paternalistici hanno privato le coscienze degli italiani dello stimolo a riflettere sui grandi problemi: c’era qualcun altro a farlo per loro e a porvi rimedio. Ciò ha comportato una forte ammirazione degli italiani per qualsiasi figura che si ponesse a Deus ex machina, a estremo risolutore ed efficacie decisore. In questo solco si innesta la figura di Mussolini e del fascismo.
In tale contesto autoritario, la lotta per la libertà non può essere condotta seguendo il pensiero marxista. In esso, insiste Rosselli, la libertà non esiste, ma è solo una conseguenza della necessità storica. Per un socialista liberale, invece, la libertà è tutto: essa è fine e mezzo. La libertà del socialista liberale è piena, positiva, rivolta a tutti gli esseri umani in tutti gli aspetti dell’esistenza: “Libertà politica e spirituale oggi, perché costituisce la premessa […] per la nostra battaglia; e libertà, autonomia nell’economia e nello Stato domani.”
Rosselli conclude la sua opera dando delle indicazioni di ordine teorico e pratico ai socialisti, per superare il malsano fatalismo stoico in cui sono finiti.
Dal punto di vista ideologico, li esorta ad accettare il fatto che quello marxista non sia l’unico socialismo possibile, ma che anzi sia giunto il momento di andare oltre quel pensiero e di prendere spunto dalle esperienze del socialismo francese e inglese. Il primo non è mai stato influenzato dal marxismo, e ha mantenuto il culto dell’individualità e della libera iniziativa operaia, l’adesione alla realtà nazionale, il riconoscimento dei fattori morali, il rispetto per la piccola proprietà rurale e artigiana. Il secondo si è declinato nell’esperienza laburista, focalizzato sì nella lotta di classe, ma condotta mediante riforme graduali e pacifiche.
Per quanto concerne la pratica, innanzitutto Rosselli invita i socialisti ad adottare il pragmatismo nella definizione dei programmi di governo. L’Italia è a quel tempo un Paese ancora fortemente agricolo. Definire programmi e azioni di governo prendendo come modello Paesi ben più sviluppati come la Germania o l’Inghilterra porterebbe i socialisti a curarsi delle istanze di una piccola frazione del proletariato, mentre la vera missione dei socialisti è di tutelare gli interessi, la pace e la libertà della maggioranza dei lavoratori. In secondo luogo, suggerisce di superare il dualismo tra partito e movimento operario ispirandosi al modello adottato dal partito laburista britannico. Rosselli è per una forma di partito che rappresenti la sintesi federativa di tutti quei gruppi politici, associazioni culturali e altri organismi che lottano insieme per la causa del lavoro sulla base di un programma condiviso.
Un solo punto dovrà restare fermo: l’accettazione nel fatto del metodo liberale come strumento di lotta politica.