Nella grande confusione del panorama politico italiano si ha una certezza: l’assenza di una cultura liberale. Spesso abusato, da alcuni sfruttato e da altri denigrato: il termine “liberale” raramente viene usato propriamente nel Belpaese. E quei pochi che lo utilizzano correttamente si guardano bene dal mischiarsi alla vita politica della nazione.
Il liberalismo è una creatura dalle mille sfaccettature, e laddove in altri paesi i partiti liberali riescono a rivolgersi alle masse, in Italia ciò non avviene.
Quindi è diventata una parola da sussurrare nei salotti intellettuali, una sorta di medaglietta che alcuni pensatori amano indossare, o una patente che altri pretendono di poter concedere o revocare.
Sembrerebbe quasi che questa parola spaventi i partiti, che i politici temano di essere associati a quell’immagine elitaria che il liberalismo rievoca. La realtà è che questo termine in Italia è stato storpiato spesso e volentieri, quindi ormai si ritiene che essere liberali significhi esclusivamente agire nell’interesse dei ricchi, degli imprenditori e delle multinazionali, come se il liberalismo fosse una battaglia di classe e non una teoria politico-economica che ambisce al benessere generale.
Infatti, negli ultimi tempi, nonostante qualcuno si sia avventurato nell’utilizzare il termine liberale (l’esempio eclatante più recente ci viene dal Terzo Polo), viene sempre accompagnato con qualche altra definizione: popolare, socialista o radicale.
Sembra quasi che la definizione di liberale richieda una giustifica, che sia richiamare un’altra categoria politica per risultare attraenti.
Ma com’è avvenuto che il liberalismo, ideale politico che ha ispirato gli uomini che hanno fatto l’Italia, sia passato all’essere un’idea di nicchia, che fatica persino a trovare un partito di rappresentanza alle elezioni?
L’analisi del suo declino può essere condotta attraverso differenti chiavi di lettura, ma la realtà dei fatti è che dopo aver fornito il grande presidente della Repubblica Luigi Einaudi il Partito Liberale Italiano abbia smesso di essere rilevante nelle dinamiche politiche nazionali.
Una apparente inversione di marcia è avvenuta, quando il termine è stato raccolto da Silvio Berlusconi, che sulla base di esso ha proposto un manifesto estremamente liberale attorno a cui è riuscito a radunare le folle. Una sorta di miracolo liberale: attraverso le sue doti da comunicatore Berlusconi fu in grado di raccogliere un patrimonio politico immenso, facendo tornare il vocabolo “libertà” centra-le nel dibattito politico italiano.
Purtroppo, di davvero liberale, Berlusconi fece ben poco. Non diede seguito alle ricette che proponeva, spesso facendo anzi l’esatto contrario. Anzi, l’estrema ricattabilità politica di Berlusconi associò persino al liberismo una sorta di cattiva nomea. Dunque l’immenso patrimonio politico che era stato in grado di raccogliere andò sprecato, e forse da allora la parola “liberale” è diventata una cosa da non dire da alta voce.
Nell’attuale stato delle cose, ci sono nella scena politica italiana tre partiti che si richiamano in qual-che modo alla categoria politica del liberalismo: tuttavia, per svariate ragioni, queste forze finiscono per tradire le loro premesse, deragliando o verso destra o verso sinistra.
Forza Italia, quello che in linea teorica rivendica con più orgoglio l’ispirazione liberale, vi ha, come aveva prima alluso, aggiunto la sigla di “popolare”. Sigla in virtù della quella i suoi rappresentanti ritengono di poter negoziare qualsiasi premessa liberale. L’alleanza con i cosiddetti sovranisti ha marcato in modo irreparabile il definito divorzio dagli ideali del liberismo.
Il “nuovo arrivato” costituito dal Terzo polo, nonostante sia potenzialmente il concorrente più adatta a ricostituire un partito liberale di massa, non riesce ad emanciparsi dall’influenza ideologica del Partito Democratico, comportandosi come una ex-consorte in piena disputa legale per la separazione dei beni.
Calenda e Renzi continuano infatti ad appellarsi all’elettorato di sinistra, giurando che non si alleeranno mai con la destra e proponendo misure di chiaro sapore statalista.
Questa mentalità non solo gli impedisce di emanciparsi dall’area di Centrosinistra (il principio di un “Terzo Polo” dovrebbe proprio essere l’autonomia e l’equidistanza dai i due poli maggiori), ma li distoglie di puntare invece alla folla dei delusi del Centrodestra (in particolare dalla carcassa che è Forza Italia), che cercano solo un partito che rappresenti le istanze delle classi produttive.
Concludiamo la nostra rassegna dell’universo dei sedicenti liberali, con Più Europa, il cui programma è certamente il più liberale tra quelli presi in esame, ma che soffre una impostazione eccessiva-mente sbilanciata verso i diritti civili. Lo scaltro modus operandi ereditato dai radicali, che consiste nell’infiltrare in qualunque legislature due o tre rappresentanti che mantengano il focus sulle battaglie civili, è indubbiamente funzionale allo scopo, non aiuta Più Europa a imporsi come partito di massa. La continua associazione di convenienza con il Centrosinistra ha inoltre cagionato un caso acuto di “vergogna del liberismo”, in barba al programma economico chiaramente liberista.
Manca, insomma, un partito autenticamente liberale, che non abbia paura di definirsi tale, specialmente di affermare che la riduzione dei poteri dello stato è una priorità centrale e urgente.
Fin dalla sua origine, il fulcro ideologico e concettuale del liberalismo è stato difendere la Società Civile dalle ingerenze dello Stato, qualora quest’ultimo diventasse invasivo. Dunque, un partito che dichiari la fondamentale identità tra diritti civili e diritti economici, e non abbia timore di proporre misure esplicitamente atte a eliminare l’influenza dello Stato quali i tagli alla spesa pubblica.
Manca soprattutto un partito che abbia il coraggio di essere liberale anche sui temi spinosi, e senza pregiudizi categoriali legati alla vecchia dicotomia destra/sinistra.
Un partito che non abbia paura di mettere in questione anche in modo radicale e originale il rapporto tra cittadini e istituzione, ripensando profondamente la scuola, la sanità e la giustizia.
Un partito che creda che i cittadini dovrebbero poter difendere la loro proprietà, la madre delle battaglie liberali.
Un partito davvero laico, e che rivendichi di essere tale.
Manca un partito che non abbia paura di dire che le tasse vanno abbassate, non solo perché fa bene all’economia, ma perché la libertà economica dei cittadini è importante tanto quanto i diritti civili, e in Italia viene costantemente calpestata.
Un partito che difenda il libero mercato, la globalizzazione, la concorrenza e il merito come sistemi per rendere tutte le classi più ricche; e che sia in grado di spiegare tutto ciò agli elettori in modo trasversale, mettendo in luce come tali misure beneficino non solo certi individui, ma società civile nel suo complesso.
Un partito che possa andare a chiedere il voto sia degli operai che degli imprenditori, perché vuole difendere le libertà di tutti i cittadini.
È dunque necessario svolgere un immenso lavoro sulla divulgazione e comunicazione, che permetta di abbattere gli stereotipi e le incomprensioni verso il liberalismo, permettendo alla galassia liberale di emergere come un fronte coeso e coerente, e non al traino di altri schieramenti di maggioranza. Solo attraverso un’azione coraggiosa e mediaticamente ben studiata il liberalismo potrà rendere i suoi temi accessibili alle masse e nuovamente centrali nel dibattito politico del Belpaese, realizzando la rivoluzione liberale che aspettiamo da decenni.