Oltre la guerra in Ucraina: la difesa comune europea

In quanto liberal-democratici, la nostra politica estera non può che poggiarsi su europeismo e atlantismo. Le ultime settimane, più che mai, ci danno ragione di questo orientamento. La NATO ha garantito e garantisce la nostra sicurezza. L’Unione Europea ci ha permesso di vivere anni di pace, sviluppo e prosperità economica. Ma oggi, a 70 anni dalla fondazione delle CECA (poi UE) e a 73 anni dalla formazione della NATO, siamo spinti ad un passo ulteriore. Un passo necessario, forse anche obbligato.
Nel 2008 l’UE è entrata in una fase critica della propria storia, che ha messo in discussione la sua esistenza e ha portato il Regno Unito nel 2016 ad esprimersi nel referendum sulla BREXIT, vicenda conclusa solo nel 2020 con l’addio (o arrivederci) ufficiale del Paese.
Con l’avvento della pandemia abbiamo (ri-)scoperto l’importanza della cooperazione fra Paesi, dove sostegno e coordinamento hanno fatto la differenza. Oggi però scopriamo come ancora non sia abbastanza. La guerra in Ucraina ci spinge verso una direzione certa ed inevitabile: l’esercito europeo. Parlare di esercito europeo è forse riduttivo, laddove invece si vuole fare riferimento alla costruzione di una forza di difesa completa che includa esercito, marina, aeronautica e intelligence. Per comodità continueremo a chiamare tutto l’apparato “esercito europeo”, ma bisogna tenere a mente che si farà riferimento ad ogni campo della difesa.
Si parla di difesa europea dal 1952, quando i Paesi della CECA (Italia, Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Repubblica Federale di Germania) firmarono per costituire la CED (Comunità Europea di Difesa); accordo mai entrato in vigore a causa della mancata ratifica della Francia. L’idea di una difesa comune quindi, non è recente ma nasce insieme all’Europa unita. 

Ma perché questa necessità? Partiamo da un bisogno geopolitico: l’Unione Europea non è un’entità federale ma raccoglie dentro di sé Paesi che hanno deciso di intraprendere un percorso di integrazione che nella storia non ha precedenti. Gli Stati europei non hanno solo accordi economici, commerciali o politici, ma anche militari: qualora uno dei membri dell’UE venisse attaccato, tutti gli altri Stati-membri dovrebbero intervenire in sua difesa (il principio è simile a quello della NATO). Ma intercorre un’enorme differenza tra 27 Paesi che mettono a disposizione il proprio esercito per difendere un partner, ed un unico esercito. In numeri: se l’Unione Europea avesse un proprio esercito conterebbe 1 597 788 militari. Bisogna poi tenere conto del fatto che esercito e diplomazia sono complementari: un esercito europeo darebbe un autentico potere diplomatico all’unione, di cui ha un disperato bisogno.
Certo, negli eserciti moderni i numeri non bastano: fondamentale è il livello tecnologico dell’esercito, problema di cui il nostro esercito europeo non dovrebbe preoccuparsi più di tanto. Una seconda motivazione potrebbe essere di tipo economica: da quando l’Ucraina è stata invasa, hanno fatto notizia le decisioni del cancelliere Scholz di destinare un fondo speciale per l’esercito tedesco e di aumentare le spese militari al 2% del PIL. Una decisione storica, considerando che la Germania ha un esercito ridotto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma più in generale, si parla di una corsa al riarmo di tutta l’Europa. Corsa che nel contesto di un esercito europeo non sarebbe necessaria: anziché contare su un insieme di eserciti più o meno grandi, avanzati, specializzati ed in una certa misura diversificati tra loro, si potrebbe disporre di un unico organo di difesa organizzato e omogeneo, con finanziamenti spesi per ammodernare piuttosto che per allargare.

Si può anche considerare una motivazione di tipo valoriale. Un esercito europeo potrebbe essere simbolicamente uno dei punti di riferimento del processo di integrazione europea: Paesi che nella Storia hanno combattuto guerre uno contro l’altro, oggi si uniscono nella difesa dei valori europei; quegli stessi valori per cui oggi l’Ucraina combatte. Quella in Ucraina non è solo una guerra di un Paese territorialmente aggredito. È anche una guerra di principi. 
Da una parte abbiamo la Russia, che per anni ha minato la stabilità delle democrazie europee finanziando partiti e movimenti antisistema ed antipolitici, facendo uso di disinformazione, usando il gas come arma di ricatto. Non scordiamo mai i legami diretti tra la Lega e Russia Unita di Putin, o la campagna di fake news alla vigilia del referendum sulla BREXIT. Un Paese che ha fatto dell’autoritarismo, della censura e della repressione del dissenso il proprio carattere distintivo. Un Paese che non si fa scrupoli a violare la sovranità degli Stati vicini in tutti i modi possibili, passando da azioni di sabotaggio a omicidi ed attentati a oppositori (ricordiamo Navalny avvelenato con il novichok), fino alle invasioni. 
Dall’altra abbiamo l’Ucraina, che ha deciso di prendere in mano la propria storia e di iniziare il proprio percorso di democratizzazione ed avvicinamento all’Occidente, staccandosi dall’orbita dei Paesi ex-sovietici. Il percorso dell’Ucraina era un percorso tutto in salita: gravi disparità economiche, corruzione, economia debole, di certo non una democrazia esente dal rischio di colpi di mano interni o avente una politica limpida, bisogna ammetterlo. Ma si proiettava nel futuro come membro della famiglia europea. E combatte proprio per difendere il sogno europeo.

Lo scontro valoriale è evidente e coinvolge anche noi. Viviamo in un’epoca in cui i valori liberaldemocratici sono sfidati da modelli autocratici e liberticidi, sia da parte di attori esterni, come appunto la Russia o anche la Cina, che da parte di attori interni, che minano dall’interno le basi del dibattito pubblico e della democrazia. Se gli attori interni possono essere contrastati da tutti noi con il confronto ed il dibattito, mettendo in luce le loro falsità, gli attori e le influenze esterne non possono che essere arginati da un esercito europeo, che difenda i nostri valori.
Possiamo anche aggiungere una motivazione politica che riguarda le relazioni con Paesi alleati. Un esercito europeo non deve essere slegato dalla NATO, ma deve operare al suo interno e cooperare con USA, Canada, Turchia e tutti i Paesi europei non all’interno dell’Unione, come il Regno Unito. Questo permetterebbe all’Unione Europea di avere un maggiore peso politico all’interno dell’alleanza atlantica ed organizzarsi e muoversi in modo più autonomo. Ma soprattutto, permetterebbe all’UE di parlare con gli USA da pari a pari. Avere quindi maggiore peso all’interno dell’alleanza stessa, potendo potenzialmente giocare un ruolo più attivo nella difesa dei Paesi dell’Europa orientale.

Renew Europe ha già espresso la propria posizione in merito all’esercito europeo, promuovendone la formazione. In questo troviamo una sponda direttamente in Macron, che parla di un esercito ed una sovranità europea già da tempi non sospetti. L’Italia potrebbe riprendere in mano il progetto della CED, approfittando della posizione europeista del Governo Draghi, dell’appoggio di Macron e della tragica guerra che si consuma ai confini dell’unione. Diventare cioè tra i primi promotori della difesa comune europea, di cui abbiamo bisogno. I liberaldemocratici possono fare la differenza sia in Italia introducendo il dibattito, che in Europa, promuovendo l’esercito europeo. Bisogna iniziare a lavorare a questo progetto il prima possibile;  meglio tardi che mai.

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