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Conflitto Hamas-Israele, facciamo il punto
All’alba di sabato 7 ottobre, l’organizzazione terroristica Hamas ha annunciato l’inizio dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”, lanciando 5000 missili di vario tipo nel territorio israeliano. Contemporaneamente, membri della brigata Qassam, il braccio armato dell’organizzazione, sono riusciti a sfondare le linee difensive israeliane sul confine con Gaza, penetrando nel territorio di Israele via terra, con attacchi alle guarnigioni dell’esercito israeliano, via area, via mare, e via terra. Il risultato di ciò sono stati dei massacri di civili nei Kibbutz e al festival Supernova nel sud di Israele e nel Negev.
I presidi e le basi militari israeliane nella regione sono stati quindi assaltati e conquistati. Numerosi mezzi all’avanguardia sono finiti nelle mani di Hamas, che comunque avrà probabilmente molte difficoltà ad usarli in futuro. Nonostante l’attacco abbia colto di sorpresa Israele nel pieno della festività della Simchat Torah, Iron Dome, il sistema antimissilistico impiegato dallo Stato ebraico, è entrato subito in funzione. Il governo ha attivato l’esercito, che già nel pomeriggio del 7 ottobre è entrato in quella che ormai era una zona di guerra.
L’esercito è stato molto criticato per il ritardo nella reazione, e per aver lasciato poco personale al confine con la Striscia di Gaza. Questo ha permesso non solo che Hamas scorrazzasse impunita per il sud di Israele, ma anche che numerose persone (cittadini israeliani e stranieri) venissero presi in ostaggio e portati a Gaza, territorio che Israele ha abbandonato nel 2005 e che è da allora controllato da Hamas. Ci sono due precedenti di cittadini israeliani presi in ostaggio nella Striscia, entrambi di soldati catturati, e nell’ultimo caso il sergente Gilad Shalit è stato scambiato con 1027 miliziani palestinesi. Gli ostaggi portati a Gaza il 7 ottobre si stimano intorno ai 150 (il numero è in crescita). Le vittime dal lato israeliano sono almeno 1200 all’11 di ottobre, numero probabilmente destinato a salire.
Le forze armate israeliane hanno annunciato già nella mattina di sabato 7 ottobre l’operazione “Spade di ferro”, mirata ad eliminare i miliziani ancora in territorio israeliano, all’eliminazione di obiettivi militari dentro Gaza e alla mobilitazione di 360.000 riservisti per future operazioni nella Striscia. Non è ancora chiaro se ci sarà un intervento di terra, che è però molto probabile, vista anche la dichiarazione dello stato di guerra da parte del primo ministro Netanyahu. Il tenente colonnello Jonathan Conricus, portavoce delle Forze di difesa israeliane, in un’intervista con l’emittente tedesca DW, ha ribadito che tutte le opzioni sono sul tavolo. La situazione si è aggravata anche a Nord del paese, dove numerosi razzi e proiettili di artiglieria sono stati sparati da Hezbollah dal territorio libanese e dalla Siria. Non è chiaro se questi ultimi siano stati sparati dall’esercito siriano.
Il timore principale è l’escalation. L’Iran, principale nemico di Israele nella regione, non confinando con lo Stato ebraico, utilizza le milizie Hezbollah per colpire Israele, e anche la Siria ha un rapporto difficile con Israele, segnato dalla disputa sulle alture del Golan, perse in seguito alle guerre del ’67 e del ’73. C’è poi anche il controverso tema delle colonie illegali israeliane, con voci insistenti in Israele che criticano il governo che avrebbe mandato l’esercito a difendere gli insediamenti in Cisgiordania, togliendo truppe e risorse al confine con Gaza.
La situazione è ancora in divenire, gli elementi sicuri però è che ci sono numerose responsabilità nel governo israeliano che andranno chiarite. Innanzitutto, Mossad e Shin Bet, le due agenzie di intelligence israeliane, hanno permesso che passassero componenti per migliaia di missili nella Striscia di Gaza. Un ruolo importante lo ha anche svolto la battaglia del governo per far passare la controversa riforma della Giustizia, che ha diviso il paese a metà con importanti atti di disobbedienza civile portati avanti da dipendenti pubblici. Il popolo israeliano ora si prepara alla guerra.
Aurelio Pellicanò
Uno sguardo all’Europa
La riforma del Regolamento di Dublino
Una delle più grandi sfide che oggi l’Unione Europea si trova a dover affrontare è senza ombra di dubbio la questione migratoria. Forse non sarà la sfida geopolitica più rilevante, ma è una delle questioni intorno alla quale le tensioni tra i 27 stati membri si fanno più accese. Da una parte, infatti, ci sono i paesi di primo approdo (come Italia, Grecia e Spagna) che sottoposti a una pressione migratoria crescente chiedono maggior solidarietà dall’Unione per quanto riguarda la redistribuzione dei migranti e un rinnovato impegno nel bloccare le partenze rafforzando i confini esterni. Dall’altra parte invece troviamo il gruppo dei sovranisti, guidato da Polonia e Ungheria, che si mettono di traverso a qualsiasi tentativo di riforma delle attuali misure in tema di immigrazione e accoglienza.
Di modificare le attuali norme, ritenute da molti governi non più in grado di rispondere alle esigenze correnti, se ne parla da diverso tempo ma senza arrivare mai a una decisione definitiva. Ma se fino a pochi giorni fa la partita appariva bloccata in uno stallo senza soluzione, da ultimo alimentato dallo scontro tra Italia e Germania sul ruolo delle ONG, sembra che si sia finalmente arrivati a un punto di svolta.
A inizio ottobre, infatti, il Consiglio dell’Unione Europea ha raggiunto dopo lunghe (e spesso accese) discussioni un primo accordo per la riforma complessiva dei regolamenti di Dublino. Un risultato non scontato e figlio di trattative non facili e che ha provocato la reazione contraria di Ungheria e Polonia e l’astensione di Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Tra le principali novità introdotte da questo accordo troviamo la possibilità per gli Stati membri di poter applicare misure eccezionali durante i periodi di crisi migratoria come, ad esempio, il prolungamento del periodo di detenzione per i destinatari di misure di rimpatrio. Altra importante novità su cui l’Italia si è fortemente battuta è il rafforzamento dei meccanismi di “solidarietà obbligatoria” che prevede per gli stati che subiscono eccezionali ondate migratorie di chiedere il sostegno degli altri paesi europei che potranno adempiere o facendosi direttamente carico di una parte dei richiedenti asilo o attraverso contributi finanziari o misure alternative di solidarietà.
Se tutto filerà liscio entro la fine della legislatura a giugno 2024 Consiglio e Parlamento Europeo arriveranno a finalizzare, dopo anni, la riforma complessiva delle politiche migratorie comunitarie.
Luca Bellinzona
Le questioni di casa
Il caso della sentenza di Catania
Alla fine di settembre, il giudice del tribunale di Catania Iolanda Apostolico, ha disapplicato un decreto ministeriale (DM 14/09/2023) non convalidando un provvedimento del questore della provincia di Ragusa (emanato il 28/09/2023) sul trattenimento di un migrante irregolare, disponendo così l’immediato rilascio dell’uomo.
L’argomentazione sulla disapplicazione del decreto, contrastante con la normativa europea, non è il principale oggetto di dibattito. L’oggetto del dibattito sono invece video che ritraggono la magistrata partecipare a cortei e manifestazioni pro-migranti, buttando la questione sul piano politico.
Discutere se sia corretto o meno disapplicare un decreto governativo non può prescindere da un esame sulla fondatezza delle argomentazioni contenute nella sentenza, tra l’altro perfettamente in linea con la giurisprudenza europea. Non vi è, infatti, una lesione degli articoli 8 e 9 della direttiva comunitaria 33/2013 e sono assenti difetti di valutazione della conformità del provvedimento con i principi di necessità e proporzionalità.
Solo una volta riscontrate gravi irregolarità potrebbe porsi un quesito riguardo ai moventi della sentenza. Interrogarsi ex ante riguardo le opinioni politiche di un giudice, calpestando tra gli altri l’articolo 21 della Costituzione, senza prima dimostrare fondate carenze nella sentenza pronunciata, potrebbe significare mettere inutilmente in dubbio l’imparzialità non solo della stessa giudice ma della magistratura nel suo complesso.
Un processo politico condotto tramite i media rischia di creare una frana dell’argine, rappresentato dalla separazione dei poteri, a difesa dello stato di diritto.
Porre in essere un dibattito, motivato da argomenti puramente politici contro le idee del giudice (che ricordiamolo, è anche un individuo con diritto ad una propria opinione), può però ledere la credibilità dello stesso sistema giurisdizionale, il quale si è schierato a difesa delle proprie prerogative.
Le personalità che hanno deciso senza troppe riflessioni di dare aria alla bocca non si sono ancora probabilmente rese conto del ruolo che ricoprono. Soggetti apicali dell’attuale maggioranza di Governo, aizzano le folle contro lo Stato, probabilmente ancora spinti dalla necessità di fare opposizione, a qualcuno o a qualcosa. Le parole del vicepresidente del Senato Gasparri (“Magistrati pericolosi per la sicurezza nazionale”) fanno da esempio.
Immediato è il sostegno dei simpatizzanti che delegittimano la magistratura. È innegabile il contributo all’instabilità di un sistema giurisdizionale che già arranca in questo Paese, che già fa fatica ad essere riconosciuto quale baluardo di giustizia.
Se si avessero osservazioni di diritto o di merito da fare, dovrebbero essere in primo luogo sollevate nelle sedi opportune. Attaccare pubblicamente la magistratura per meri scopi propagandistici, rischia di creare una lesione che un domani legittimerà altri a fare lo stesso. Un climax pericoloso per la tenuta di un Paese diffidente verso le istituzioni.
Spetterà al giudice d’appello stabilire la correttezza della sentenza; spetterà, si spera, alle istituzioni la riflessione, nella consapevolezza che le loro parole sono fendenti contro la Costituzione e che il conflitto che hanno aperto non è contro un singolo o una parte politica, ma è contro lo Stato, è contro loro stessi, è contro tutti.
Giacomo Tranchinetti
Notizie da libeRI!
Scuola di formazione: Il prossimo 20 Ottobre ospiteremo la lezione dell’onorevole Filippo Sensi a tema “Gli strumenti della comunicazione politica”
L’ultimo lavoro della nostra Redazione: I populisti di sinistra filoputiniani battono i liberali in Slovacchia: https://www.liberi-al.it/i-populisti-di-sinistra-filoputiniani-battono-i-liberali-in-slovacchia/
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