Le sanzioni sono ad oggi il principale metodo con la quale si combatte la Russia e sono di conseguenza la nostra arma più importante per limitare l’influenza russa. Ciò nonostante, queste sono spesso osteggiate da certi gruppi politici, i quali descrivono gli effetti delle sanzioni occidentali come nulli o controproducenti.
Nell’effettivo quindi, qual è lo scopo dei sanzionamenti alla Russia? Quali sono gli effetti e perché l’etica impone all’Occidente di applicarle?
Per rispondere a questi quesiti bisogna necessariamente fare un excursus storico, tornando indietro alla caduta dell’URSS.
La dissoluzione dell’URSS, avvenuta l’8 dicembre 1991, lasciò la neonata repubblica Russa in una assoluta crisi politica; il tentativo goffo di instaurare uno stato democratico fu breve a fallire ed il risultato elettorale del 1991 vide vincitore Boris Eltsin, il quale fece una campagna elettorale basata sulla democrazia, l’anticomunismo e il libero mercato.
Le elezioni del ’91 vennero organizzate in un brevissimo lasso di tempo e vennero viste dalla popolazione come un referendum sul comunismo ed altri fattori, come lo stato di diritto estremamente fragile (con un accentramento dei poteri nelle mani del presidente e una forte corruzione oligarchica), una cultura che, in secoli di storia, non ha avuto un capitolo puramente democratico, la corruzione e l’instabilità economica. Questi fattori uniti portarono alla nascita di una oligarchia de facto.
L’ambiente instabile della Russia degli anni Novanta diede possibilità a personaggi come Vladimir Putin, ex KGB, di emergere e fare carriera.
Entrato tra i fidati di Eltsin, Putin venne nominato come suo successore, con la garanzia che egli diede di non perseguire il presidente; così facendo Eltsin si garantì un futuro privo di conseguenze per i vari crimini commessi da lui e dal suo entourage. Poi, il 31 dicembre 1999, Eltsin si dimise lasciando spazio a Putin.
Sin dagli albori, il nuovo presidente utilizzò una politica estera estremamente aggressiva. Il primo caso fu quello ceceno: la seconda guerra cecena, iniziata da Eltsin in seguito a degli attentati in suolo russo, venne proseguita dal suo successore con una bellicosità inaudita, violenza che si protrasse anche in seguito alla riconquista della Cecenia, con una repressione che dura anche ad oggi, che causò un incalcolabile numero di vittime.
Il secondo caso è stato la guerra di Georgia, dove la Russia di Putin, attraverso il pretesto del separatismo dell’Abcasia, occupò una parte del Paese.
Il terzo caso, il più famoso e influente, è il caso ucraino, successivo alle proteste dell’euromaidan nel 2013, scatenate dalla scelta dell’allora presidente ucraino Yanukovich di interrompere le negoziazioni con l’UE, dopo aver subito le pressioni economiche russe.
Le movimentazioni popolari nascono proprio motivate da un grande sentimento europeista: il popolo ucraino aveva infatti tutti i motivi storici e culturali per ribellarsi al giogo di Mosca. Queste proteste costrinsero Yanukovich a ritrattare le sue posizioni, ma fu comunque costretto alla fuga in Russia per il timore di venir perseguito o assassinato.
L’euromaidan portò il Paese su una chiara rotta filoeuropea; ciò andava contro gli interessi della Russia di Putin, la quale come dimostrato in precedenza, non sopporta che gli ex Stati dell’URSS escano dalla propria area di influenza. Per tale motivo la Russia si mosse sfruttando nuovamente un sentimento separatista, con il pretesto di proteggere la popolazione russofona. L’esercito di Mosca occupò la penisola, annettendola ufficiosamente alla federazione Russa.
L’occupazione della Crimea fu anche la goccia che portò all’inizio delle sanzioni europee ai danni del Cremlino e venne varato, nel marzo del 2014, il primo pacchetto di sanzioni, il quale era però rivolto esclusivamente alla neonata repubblica di Crimea e ad alti funzionari russi e ucraini.
Questo primo pacchetto limitava la possibilità di movimento nei confini UE e congelava numerosi beni dei funzionari presi di mira.
Solamente a luglio le sanzioni diventarono sanzioni economiche, colpendo direttamente la nazione russa. Il Consiglio Europeo impone quindi: il divieto d’accesso degli enti finanziari russi posseduti dallo stato ai mercati dell’UE, il divieto d’acquisto d’armi e di tecnologie che possono essere ricollegate a scopi militari e viene limitata la diffusione di alcune tecnologie.
Ad oggi però, le sanzioni imposte dal 2014 al 2022 sono state considerate da molti inadatte o insufficienti, ma è effettivamente fondato questo dubbio?
Esaminando i fatti le sanzioni non hanno sicuramente fermato la politica espansionista russa, l’occupazione della Crimea non fu che il primo passo. Infatti, il supporto alle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhans’k ne è la prova: la Russia ha continuato attivamente a fornire uomini ed equipaggiamenti ai separatisti.
Ma quindi le sanzioni alla Russia dal 2014 ad oggi, sono inutili?
Guardiamo i dati, questi ci dicono come nel 2014 il PIL russo sia sceso di circa 3 triliardi. Ciò nonostante, nell’arco temporale che va dal 2016 al 2020, il PIL russo è comunque cresciuto, senza però raggiungere il valore del 2013.
Oltre il PIL bisogna anche considerare altri aspetti economici, in particolare l’andamento del rublo, il cui valore è andato scemando, crollato nel 2014 e non si è mai ripreso, dimostrando l’isolamento a livello internazionale della nazione.
C’è però un grosso tasto dolente sulla questione sanzioni, le materie prime, le quali furono, almeno fino al 2022, la principale fonte di guadagno del Cremlino. Su questo punto nasce la questione etica: la morale dietro le sanzioni risiede proprio nel limitare le capacità di una nazione nell’offendere, influenzare o aggredire nazioni terze o particolari popolazioni.
Nel caso russo, per quanto efficaci su alcuni punti, hanno fallito nel loro intento principale, e allora come cittadini europei, dobbiamo domandarci se effettivamente le forniture di gas e petrolio fossero così fondamentali per le nostre vite ed economie; se ad oggi centinaia di migliaia di persone muoiono oltre i nostri confini, è perché da decenni i leader europei hanno deciso di accettare di avere una nazione terrorista ai propri confini, solamente per poter continuare a limitare la produzione energetica.
L’Italia in particolare, dal 2014 fino all’inizio dell’invasione, non ha limitato le importazioni dalla Russia, ma anzi, il nostro mix energetico ha visto salire la percentuale di gas russo.
Moralmente parlando quindi siamo responsabili almeno in parte di quello che ad oggi avviene in Ucraina: se ad oggi la Russia ha le capacità di invadere una nazione è anche grazie ai miliardi di euro versati per le forniture di gas.
In conclusione, le sanzioni sono inutili? Assolutamente no, hanno indebolito il Cremlino oltre che limitato la capacità dell’esercito russo; sono però state insufficienti? A mio avviso si, non solo l’Europa non si è adeguata a iniziare a produrre la propria energia, ad esclusione di alcuni paesi come la Francia dove il nucleare sopperisce a certe mancanze, ma ha anche volontariamente ignorato il pericolo di una minaccia Russa.
Forse, se 9 anni fa i leader europei avessero deciso di limitare o proibire le importazioni e avessero apertamente contrastato la politica russa, avremmo avuto un’Europa più forte e un’Ucraina libera e in pace.