Le praterie dei Liberali: oltre la Destra e la Sinistra, oltre Mario Draghi

La fine del 2021 e l’inizio del 2022 hanno prontamente rimesso il Belpaese di fronte alla durezza della realtà. Superata la fase romanzata dell’Italia “modello e locomotiva d’Europa”, archiviata la stagione degli inattesi trionfi calcistici, eccoci qua a fare i conti con i problemi di sempre: manovra finanziaria, pandemia galoppante e contesto politico frammentato, instabile ed inconcludente.
Chiariamo subito una questione: nessuno tocchi Mario Draghi. Politicamente il 2021 è stato un anno formidabile per il nostro Paese ed il merito è principalmente il suo. Il recupero di credibilità internazionale, il successo della campagna vaccinale ed il raggiungimento dei 51 obiettivi del Piano nazionale di ripresa e Resilienza (PNRR), rappresentano “la tripletta” più significativa.
Ma chiariamo anche un’altra questione: Super Mario esiste solo nei videogiochi della Nintendo. Non ha poteri illimitati, non è il CEO della Super Azienda Italia, ma un uomo delle Istituzioni – il migliore di cui disponiamo – che si è messo a disposizione dell’intero Paese. E starà dove sarà più opportuno, ma possiamo chiedergli di risolvere tutti i nostri problemi, inclusi quelli di chi si definisce liberale (qui inteso in maniera ampia, includendo liberal-democratici, moderati, riformisti, popolari e così via…).
Negli ultimi due anni, infatti, il lancio del PNRR da parte dell’Europa, il ridimensionamento di sovranisti e populisti, la convergenza di forze politiche molto differenti, ha portato molti liberali a credere nella validità del seguente schema: l’Europa mette a disposizione risorse per la ripresa economica, i Paesi – in particolare quelli zoppicanti come l’Italia – attuano riforme che altrimenti non vedrebbero mai la luce ed un governo nazionale “di compromesso” implementa.
Siamo franchi: questo schema è in gran parte inevitabile ed anche auspicabile, soprattutto perché fornisce uno stimolo all’attuazione di alcune riforme in un Paese tendenzialmente ostile al cambiamento come il nostro. Tuttavia, questo schema da solo non basta. Le elezioni nazionali del 2023 (ad esser ottimisti) sono dietro l’angolo e non basterà inneggiare a Super Mario o Super Ursula. Il ruolo della politica, qui intesa come capacità di intercettare direttamente il consenso ai fini della rappresentanza parlamentare, rimarrà fondamentale. It’s democracy, baby, perfetta o imperfetta che sia. 
I populisti questo gioco lo conoscono bene e giocano a modo loro: in maniera, spesso, spregiudicata. Ma è arrivato il momento che anche i liberali accettino nuovamente, e senza nascondersi, questo gioco. È arrivato il momento di uscire dalle trincee e di andare all’attacco, di formulare un’offerta politica decisamente liberale che manca clamorosamente in questo Paese. Se non ora, quando?
Riduzione del peso dello Stato nell’economia, creazione di un ambiente “pro-business”, adozione di una politica energetica non ideologica e pro-nucleare, sostegno incondizionato alla scienza contro ogni superstizione, strenua difesa del garantismo, collocamento internazionale europeista ed atlantista. Questi sono solo alcuni punti che dovrebbero essere al centro di un programma liberale condiviso. Eppure, probabilmente, basterebbero per rompere gli argini di un sistema bipolare che contrappone un centro-destra lacerato tra un’anima popolare ed europeista ed un’altra che strizza l’occhio ad Orban e ai no-vax, ad un centro-sinistra prevalentemente assistenzialista, statalista e radicale sulle questioni ambientali. 

L’appello, quasi disperato ormai, è rivolto dunque a tutti i leader politici di destra, di centro e di sinistra che si definiscono liberali: abbiate il coraggio di mettere da parte divisioni, personalismi ed anche la passione per giochetti tattici di palazzo, magari utili nel breve termine per dare vita a governi che durano un anno, ma devastanti per la generazione di fiducia nei cittadini nel lungo termine. Abbiate anche il coraggio di andare oltre Draghi. Li fuori ci sono le praterie.

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