Da giorni si discute della protesta della studentessa Ilaria Lamera del Politecnico di Milano contro il caro affitti, con molte delle associazioni studentesche che hanno chiesto un incontro con il sindaco di Milano Beppe Sala per discuterne le possibili soluzioni. Il problema è diventato in poco tempo di attenzione nazionale, con i vari partiti che si sono affrettati nel ribadire la loro solidarietà agli studenti e a proporre varie soluzioni.
Il ministro dell’istruzione Valditara ha rimarcato che il caro affitto per gli studenti è solamente circoscritto alle città governate dal centro-sinistra, minimizzando in questo modo il problema e spostando il dibattito sullo scontro politico. All’opposizione, il PD, seguendo le dichiarazioni della sua segreteria Schlein, propone un programma economico incentrato sul finanziamento all’edilizia popolare, calmieramento degli affitti e regolamentazione degli affitti brevi per turismo. Il M5S di Conte d’altra parte ripropone maggiori finanziamenti per il Fondo affitti, come è stato fatto nel suo ultimo governo nell’ambito dei finanziamenti del PNRR. Infine, Calenda rimarca la soluzione di istituire un contributo di 400 euro medio al mese agli studenti fuorisede con ISEE al di sotto dei 24 mila euro. Tuttavia, questo è un problema reale che da anni è sotto gli occhi di tutti, la cui soluzione non può essere derogata a “soluzioni di breve periodo”, come sussidi e calmieramento dei prezzi degli affitti.
La crescita degli affitti a Milano non è una novità, la quale avviene da almeno 7 anni con costanza. All’inizio del 2016 il prezzo medio di affitto era di 15,40 €/m² mentre nell’aprile del 2023 è di 21,73€/m², ossia un incremento medio del 41%. Una crescita del genere, anche se non di eguale grandezza come quella di Milano, avviene da anni in tutto il Paese, soprattutto nelle città universitarie del nord Italia, dove si affianca anche un elevato costo della vita.
Ma qual è la causa di questo aumento dei prezzi? Sostanzialmente è dovuto alla scarsa offerta di immobili a fronte di un aumento della loro domanda. Milano è un caso esemplare su questo aspetto. Una delle città economicamente più dinamiche d’Italia, dove anni di buona amministrazione hanno attratto investimenti e persone, in questo caso di studenti desiderosi di venire da fuori provincia o fuori regione a studiare in un contesto universitario variegato e prestigioso. In quest’ottica, era prevedibile che questo fenomeno di entrata di lavoratori e studenti avrebbe comportato un aumento del prezzo degli immobili, in una città non in grado di soddisfare un aumento così sostenuto della domanda.
Per gli studenti ciò è ancor più amplificato da una maggiore diffidenza nei loro confronti, data da una mancanza di solide garanzie reddituali. La soluzione sarebbero gli studentati, ma questo è un tema da tempo affrontato dalle università. Per esempio, l’Università degli Studi di Milano sta completando il trasferimento delle sedi delle sue facoltà scientifiche fuori Comune, nell’area che aveva ospitato l’EXPO del 2015, non comunque senza la polemica delle associazioni studentesche; mentre l’università Bocconi già prima della pandemia aveva terminato la costruzione del campus affianco alla sua sede. Nonostante ciò, nemmeno questo è stato abbastanza per soddisfare il costante aumento della domanda. Il risultato è stato da una parte di realizzare progetti edilizi estremamente costosi, in grado di assecondare temporaneamente la domanda per poi ritornare alla situazione di partenza, e dall’altra di accentuare la dispersione del tessuto universitario.
Nemmeno il calmieramento degli affitti o i sussidi sono una soluzione efficacie, per la semplice ragione che non vanno ad aumentare l’offerta. Il sussidio aumenta la domanda e ha come effetto quello di trasferire tramite gli studenti reddito dei contribuenti ai proprietari degli immobili. Nel caso del calmieramento dei prezzi si avrebbe l’effetto contrario a quanto ci si prefissava, ovvero una diminuzione dell’offerta, l’incremento del mercato nero degli affitti e una più stringente selezione dei potenziali affittuari, a discapito degli studenti per la ragione prima menzionata. Per queste ragioni, le attuale proposte dei partiti politici sono inadeguate, in quanto non in grado di inquadrare un problema che non è emergenziale, ma strutturale e di lungo periodo.
La “strutturalità” del problema risiede nel fatto che le università italiane sono per la maggior parte collocate nei centri cittadini, perché originariamente concepite come istituzioni per un ristrettissimo insieme di studenti. Le varie riforme volte a rendere l’Università italiana una istituzione di massa si sono sempre scontrate con la cronica mancanza di strutture. Per questo motivo, se si vuole rendere l’Università un’istituzione anche per chi non proviene da una famiglia dal reddito adeguato per permettergli di vivere nel centro città, si deve incominciare a finanziare un lungimirante progetto di trasferimento delle università italiane nei contesti extra-urbani, su ispirazione del modello dei college anglo-americani. Così facendo non solo si risolverebbe il problema degli affitti, ma, nel Paese che è drammaticamente fanalino di coda in Europa per quota di laureati, si incentiverebbe un aumento delle iscrizioni di studenti sia italiani che stranieri. Calmieramento e sussidi non sono altro che soluzioni temporanee che toglieranno fondi per implementare una strategia di risoluzione strutturale, come i fondi del PNRR mal spesi dal precedente governo Conte. Le forze politiche e, soprattutto, le associazioni studentesche devono impegnarsi su questa prospettiva, cercando di non perdere l’ennesima occasione di affrontare seriamente uno dei tanti problemi strutturali che affligge l’Italia.