Jacques Delors: tra ricordo ed esempio per oggi

Jacques Delors, figura di spicco della politica europea, ha giocato un ruolo cruciale nella costruzione dell’Unione Europea (UE) durante il suo mandato come Presidente della Commissione Europea dal 1985 al 1995. La sua visione audace di un’Europa più integrata è stata caratterizzata dall’idea di “federazione di Stati nazionali”. 

Nativo francese, Delors ha dedicato le sue energie per promuovere l’integrazione economica e politica tra i membri dell’UE. Nella guida della Commissione europea contribuirà ad una serie di scelte fondamentali per l’attuale panorama comunitario.  

Nel primo mandato, la pubblicazione del “Libro bianco per il mercato interno” del 1985 ha posto le basi legislative per il completamento del mercato interno. L’anno successivo, la firma dell’Atto Unico Europeo (AUE) ha introdotto misure rafforzative per l’integrazione europea. 

Nel secondo mandato, Delors ha guidato l’elaborazione del Trattato di Maastricht e il 1° novembre 1993 la sua entrata in vigore ha dato vita all’Unione Europea. Il 1° gennaio dello stesso anno ha segnato l’avvio del mercato unico europeo. Ma la visione di Delors si estendeva oltre, abbracciando l’idea di una cooperazione politica e istituzionale più profonda. 

Ha spinto per una moneta unica europea, che ha visto la sua realizzazione con l’introduzione dell’euro nel 1999. La sua ambiziosa prospettiva si è riflessa negli ideali di “Unione Economica e Monetaria” (UEM) e negli “Stati Uniti d’Europa”. Questi ultimi rappresentano un concetto di integrazione politica avanzata rispetto all’attuale configurazione dell’UE. Questa visione propone un’entità federale con un governo centrale forte, una politica estera comune e un esercito europeo integrato. 

Parlando di questo ambizioso progetto Delors ha sottolineato che solo attraverso un maggior consolidamento politico l’Europa avrebbe potuto affrontare le sfide globali in modo efficace. 

Le sfide globali sono arrivate: i primi anni dello scorso decennio sono stati caratterizzati da una crisi finanziari ed economica che ha interessato in particolare il debito sovrano di alcuni Stati membri dell’UE, mettendo in luce il carattere ancora incompleto dell’unione economia e monetaria. In seguito, a partire dal 2015, si è verificata anche la cosiddetta crisi migratoria, che ha investito un altro caposaldo del progetto europeo, ovvero la soppressione dei controlli alle frontiere all’interno dell’area Schengen. Più di recente abbiamo dovuto fronteggiare la gravissima crisi sanitaria, economica e sociale determinata dalla pandemia di Covid-19. Infine, il 24 febbraio 2022 ha avuto inizio l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, che ha reso di estrema attualità anche il tema della sicurezza esterna all’UE. 

Affrontare queste crisi non sempre è stato facile.  

Tra le misure sviluppate durante la crisi economica dello scorso decennio troviamo sicuramente il meccanismo europeo di stabilità (MES), il cui obiettivo è quello di mobilitare risorse finanziarie e fornire sostegno alla stabilità, a beneficio dei membri del MES, che si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari. Questo avviene per salvaguardare la stabilità della zona euro e dei suoi Stati membri. 

Non dimentichiamo il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, noto più comunemente come fiscal compact. In tale Trattato sono presenti delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, obbliga in particolare, alle parti contraenti, ad introdurre nel proprio ordinamento il principio del pareggio di bilancio. 

Esiti più morbidi e peggio coordinati hanno avuto i provvedimenti presi per la crisi migratoria. La misura più importante adottata è la dichiarazione UE-Turchia, che era finalizzata ad ottenere la chiusura della rotta balcanica. In questo ambito è venuto anche a mancare quel principio di solidarietà tra gli Stati membri, avendo avuto limitata applicazione la decisione di ricollocamento, di un determinato numero di richiedenti asilo, soprattutto a beneficio di Italia e Grecia.  

Una risposta più forte e solidale è stata quella messa in campo dall’UE a fronte della pandemia di Covid-19. Risposta articolata in molteplici misure, sia sul versante sanitario sia su quello socio-economico, culminata con l’approvazione del piano di sostegno economico agli Stati membri denominato Next Generation EU (o Recovery Fund). 

L’impatto di questa misura è stato però attenuato dalle gravi implicazioni della guerra in Ucraina, nella quale l’UE ha adottato varie misure di rilievo, dalle sanzioni alla Russia, all’assistenza all’Ucraina attraverso la fornitura di armamenti. 

La portata di questa crisi ha però messo in evidenza i limiti che il processo di integrazione in ambiti come in quelli della difesa e della politica energetica. 

Occorre riconoscere che l’UE oggi si trova ad un bivio. 

Una prima opzione è mantenere lo status quo. In questo caso si rafforzerà la propensione ad agire in sintonia con quelli che sono gli interessi nazionali percepiti come prioritari rispetto all’interesse comune; in questa visione però l’UE faticherà a fronteggiare efficacemente le sfide che si pongono davanti, sul versante economico, migratorio e su quella della sicurezza interna ed esterna. 

Una seconda opzione è quella di un salto qualitativo nel processo di integrazione. Questo salto prevede il passaggio ad un metodo federale, che comporta il trasferimento di alcune competenze da parte degli Stati membri, i quali diventerebbero Stati federati, allo Stato federale. Quest’ultimo sarebbe retto da una Costituzione federale, da un Parlamento democraticamente eletto, con tutti i necessari poteri legislativi e di controllo. Questo sarebbe il modello più ambizioso in assoluto. Va precisato che questa sarebbe una federazione “leggera”, i cui compiti sono limitati alle sfide maggiori, come ad esempio materie di politica economica, politica estera e di difesa, e non un “Superstato”.

Questo processo potrebbe partire da un “nocciolo duro” di Stati che potrebbe fondarsi sulla spinta delle sei nazioni che hanno iniziato il processo di integrazione europea ed includere alcuni di quei Paesi che hanno introdotto al loro interno la moneta unica. Tale federazione potrebbe convivere e costituire un membro a pieno titolo dell’Unione Europea.  

L’UE, con questo forte nucleo all’intero, si potrebbe allargare senza timori a nuovi Stati, dando così spazio all’Europa a più velocità. 

La realizzazione degli “Stati Uniti d’Europa” è stata, ed è, oggetto di dibattito e divergenze tra gli Stati membri. Mentre alcuni paesi abbracciano l’idea di un’Europa più unita, altri mostrano riserve legate alla sovranità nazionale. Tuttavia, i principi europeisti di figure come Delors persistono come fonti d’ispirazione che sostengono ancora oggi, e sosterranno per il prossimo futuro, una maggiore integrazione europea. 

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