Da mesi in Iran va avanti una rivolta popolare contro il regime teocratico vigente da quando Masha Amini fu uccisa per mano della polizia della morale. Recentemente oltre agli arresti sono iniziate anche le esecuzioni. Le notizie di quanto accade in questo Paese asiatico arrivano alle nostre orecchie e ai nostri occhi come un racconto di un mondo lontano che mischia l’orrore a un senso di impotenza e può farci domandare candidamente: “Ma a me di questa storia cosa importa?”
Ci importa e ci coinvolge in modo diretto per una serie di motivi, dando per scontato il fatto che crimini di questo tipo sono inaccettabili da un punto di vista morale e umano. La lontananza geografica ci fa percepire il pericolo meno minaccioso ma i fenomeni internazionali sono come delle pedine sullo scacchiere globale che, anche se distanti, hanno delle conseguenze su tutti gli altri pezzi. Ad oggi solo 20 Paesi nel mondo sono ritenuti pienamente democratici, le istituzioni internazionali come l’ONU arrancano soprattutto per questo motivo. I dittatori avanzano e fanno le loro mosse spesso sostenendosi vicendevolmente. L’Iran è un paese vessato da una delle peggiori dittature: si tratta di una teocrazia, ovvero un regime dove vige una sovrapposizione tra la legge dello Stato e la legge religiosa. In Iran vige l’Islam, non come religione, come legge. I vertici di questo Stato fanno quello che gli pare senza nessun tipo di vincolo: uccidono, sequestrano, silenziano e impongono ciò che vogliono agitando lo scettro del potere spirituale. È così da tempo, in questi ultimi mesi lo vediamo solo con più chiarezza. Questo tipo di comportamento nella loro amministrazione interna si riflette anche nella loro politica internazionale. Se regimi come questo vengono lasciati agire indisturbati si rafforzano rapidamente e con il tempo aumentano il loro potere e la loro minacciosità nei nostri confronti. Le dittature sono più efficienti delle democrazie perché semplificano la complessità eliminando il pluralismo. A costo di dover sopportare delle rinunce o di scontare sacrifici dobbiamo rispondere a questo fenomeno. Ciò va fatto attraverso una strategia di politica estera lungimirante, che sappia unire strumenti economici a strumenti politici. Dalle sanzioni all’isolamento internazionale. I cittadini devono sapere cosa sta succedendo e devono premere affinché i loro rappresentanti mettano la gestione dei rapporti internazionali in cima alla loro agenda. Nelle campagne elettorali e nel dibattito pubblico la politica estera è sempre poco discussa fino a quando non scoppia il disastro. Putin invade l’Ucraina, ci spaventiamo a morte e cominciamo a discutere di ciò che avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto. Poi però vengono organizzati i mondiali in Qatar, siamo tutti indignati ma come inizia la prima partita corriamo tutti davanti al televisore. Oggi vengono giustiziati degli innocenti, un’intera popolazione viene oppressa da un regime sanguinario ormai da anni. Lottano per la loro libertà e sfidano la morte. Che ci serva come ennesimo monito, vigiliamo su ciò che avviene nel mondo, facciamo le scelte giuste e pretendiamo da chi ci rappresenta che queste materie siano affrontate con serietà e saggezza. La libertà è come una pianta, anche quando è finalmente diventata una solida quercia c’è sempre il rischio che il fuoco la disintegri. Va protetta, sempre.