Intelligenza artificiale: l’UE delle regole è un’UE debole

Lo scorso 8 dicembre, il Parlamento Europeo e rappresentanti del Consiglio Europeo hanno trovato un accordo sull’Artificial Intelligence Act. Il testo, una volta adottato in maniera definitiva dai due organi UE e quindi convertito in legge europea, diventerà la prima regolamentazione globale dell’intelligenza artificiale.  

Sebbene già nelle pagine di questo blog sia stata sottolineata l’opportunità di disciplinare lo sviluppo e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, credere che basti fissare degli standard per qualificarsi come una potenza centrale nello scacchiere mondiale può essere fuorviante. 

Se in passato l’UE era riuscita a colmare le sue lacune nel campo dell’innovazione e del digitale ponendosi come standard setter, questa strategia ha gradualmente perso di efficacia.  

In un mondo in cui la storia è prepotentemente ritornata a farsi sentire (semmai fosse andata via), cosa può fare l’UE per evitare di trasformarsi in una potenza periferica o, peggio, in un mero mercato da conquistare? 

L’Effetto Bruxelles 

L’accordo sulla regolamentazione dell’Intelligenza artificiale rappresenta certamente un importante risultato politico per l’Unione, che si pone all’avanguardia nell’indirizzo delle nuove tecnologie. In particolare, l’UE si presenta come l’unica istituzione che si erge a baluardo della difesa dei diritti fondamentali di fronte alle grandi trasformazioni tecnologiche. 

L’Artificial Intelligence Act, ragionando in ottica risk based, prevede criteri sempre più rigidi da rispettare quanto più è invasiva l’applicazione dell’intelligenza artificiale. Se da un lato un mero assistente digitale che scrive non dovrà, di fatto, sottostare a particolari restrizioni, dall’altro sono totalmente vietate tecnologie che eseguano categorizzazioni biometriche degli individui basate su informazioni sensibili (p.e. credo religioso, orientamento sessuale, politico ecc.), così come sistemi di social scoring o in grado di interpretare le emozioni sul luogo del lavoro o nelle scuole. In aggiunta, tra le altre disposizioni, viene richiesto alle soluzioni di general-purpose AI (GPAI) di aderire a misure di trasparenza e di risk assessment

In ottica politico-economica, produrre della regolamentazione così stringente è diventato il tratto distintivo dell’UE in tutti quei casi in cui l’Unione è in ritardo sullo sviluppo di nuove tecnologie. In ambiente internazionale si scrive infatti che, mentre gli USA innovano e la Cina emula, l’Europa regola. In passato questa strategia, che del resto prende proprio il nome di Effetto Bruxelles, ha avuto successo per la rilevanza del mercato europeo e le sue dimensioni. Tutte le imprese, anche quelle non europee, hanno sempre trovato più conveniente adeguarsi ai dettami di Bruxelles, piuttosto che rinunciare al Vecchio Continente. In questo modo l’Europa è stata in grado di indirizzare lo sviluppo di quelle tecnologiche su cui era deficitaria. L’adozione della disciplina per la tutela dei dati personali (GDPR) è proprio un esempio di questo effetto.  

Nel caso dell’intelligenza artificiale le cose potrebbero però andare diversamente. 

L’IA è più di una semplice tecnologia 

La progressiva minore rilevanza dell’Europa come mercato era già stata descritta dall’allora presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker nel 2019, cioè prima della pandemia e della successiva crisi inflazionistica che hanno ulteriormente colpito le economie del continente. In aggiunta, l’Africa si sta proponendo sempre di più come un nuovo mercato di sbocco per le imprese. Non solo il continente africano ha già adesso una performance, in termini di crescita del PIL, migliore rispetto all’UE, ma è anche il principale fornitore delle risorse naturali essenziali per la transizione energetica e digitale, così come presenta un elevato tasso di crescita della popolazione. 

A questo deve aggiungersi che l’intelligenza artificiale non è destinata ad essere una tecnologia utile al mero consumo. La sua rilevanza in ambiti come quello medico, finanziario e militare, ma più in generale nell’analisi e utilizzo dei dati, la rendono una tecnologia chiave dal punto di vista politico-strategico. 

Tanti problemi, una sola risposta: più Europa 

L’Europa si trova quindi stretta in una morsa. Da un lato, l’Effetto Bruxelles sta perdendo di efficacia di pari passo con la crescente irrilevanza del mercato europeo; dall’altro, affidandosi a logiche meramente di mercato, l’UE ha sottovalutato l’importanza strategica di sviluppare e produrre al suo interno le nuove tecnologie. 

Con le dovute proporzioni, possiamo paragonare questa situazione a quella che si creòe durante la pandemia, nel momento in cui ci accorgemmo che non c’erano più mascherine. Questi dispositivi, così come qualsiasi altra merce venduta in Europa, devono sottostare a specifici criteri di qualità e ottenere la Marcatura CE. Tuttavia, non essendo le mascherine prodotte in UE, non appena esse divennero essenziali, i paesi produttori diedero la priorità ai loro mercati interni anziché fornirle alle nazioni europee. In altre parole, non appena una risorsa diventa strategica, le logiche di mercato vengono meno e prevalgono le logiche del possesso

Se l’UE si trova in ritardo rispetto a USA, Cina e Giappone in termini di investimento pubblico in ricerca e sviluppo (appena il 2,22% sul totale del prodotto interno lordo europeo), lo stesso vale anche per la componente degli investimenti privati. Francia e Germania, singolarmente, sono i primi due paesi UE in termini di investimento privato in intelligenza artificiale, ma restano pesantemente staccate da USA e Cina. 

Per recuperare il terreno perso nel campo dell’intelligenza artificiale, per l’UE non resta che abbandonare il suo status quo di standard setter e di mettere a terra una grande potenza di fuoco di investimenti e politiche coordinate per lo sviluppo di suoi campioni tecnologici. Per farlo serve un bilancio comune europeo, che superi l’attuale frammentazione data dalla somma delle politiche fiscali di tutti e 27 i paesi membri. L’Unione Europea dovrebbe elaborare alcuni obiettivi di politica economica validi per tutta l’Unione e adattabili di anno in anno a seconda delle contingenze, per poi avanzare raccomandazioni ai singoli paesi affinché le loro politiche fiscali siano complessivamente coerenti con gli obiettivi europei. 

Deve nascere una sola entità politica, con le stesse norme per 430 milioni di persone nella Ue, o 340 nell’Eurozona, poco più degli Usa. 

In breve, la soluzione restano sempre gli Stati Uniti d’Europa. 

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