In difesa della liberal-democrazia

Partiamo da un dato: secondo l’EIU Democracy Index, il 2021 è stato l’anno più critico per il modello democratico nel mondo, registrando l’indice globale più basso della storia moderna. Secondo lo studio, nel 2021 il 45,7% della popolazione mondiale viveva in un regime democratico; un calo considerevole rispetto al solo 2020, quando la percentuale di popolazione mondiale all’interno delle democrazie era del 49,4%. Visto nel dettaglio, il dato è allarmante, perché mette in evidenza come vi sia stato un calo a livello globale della qualità della democrazia. Infatti, la popolazione che vive nelle democrazie complete è scesa dal 8,4% (2020) al 6,4% (2021). La restante parte della popolazione (39,3%) vive in un regime di democrazia imperfetta. Di conseguenza, il 54,3% della popolazione vive in regimi non democratici, dividendosi tra regimi ibridi (17,2%) e regimi autoritari (37,1%). Solo 47 dei 167 Paesi considerati ha registrato un miglioramento, mentre 77 Paesi hanno registrato un declino.
Se da un lato bisogna prendere il dato con le pinze (rimane pur sempre una raccolta parametrizzata di dati genericamente difficili da quantificare*), dall’altro bisogna chiedersi cosa stia succedendo e capire come agire. In generale potremmo dire che se da una parte le istituzioni democratiche subiscono battute d’arresto o retrocessioni, dall’altra esiste una generale perdita di fiducia nel ruolo delle istituzioni, che va ad alimentare l’abbassamento di qualità delle istituzioni stesse. Queste vengono percepite come eccessivamente burocratizzate e lontane, perdendo quella sensazione che una buona istituzione dovrebbe rendere: uno strumento al servizio del cittadino.

Le risposte istituzionali sono sentite come lente, a volte inadatte, troppo smorzate per trovare la quadra tra posizioni molto diverse tra loro. È il gioco della democrazia, ci piaccia o no. Il confronto tra le parti, il dibattito, la mediazione e l’accordo sono tutti aspetti della democrazia che richiedono tempo e processi consuetudinari, che non permettono l’azione immediata, se non in caso di assoluta emergenza. Questo vale in modo particolare per una democrazia parlamentare come l’Italia, che ha il cuore del proprio sistema politico nel Parlamento (e non nel Governo, come invece sembra credere la maggior parte dell’opinione pubblica).
L’incontro tra idee diverse fa sorgere un altro problema, prima accennato: la produzione di leggi e norme “annacquate”. Dovendo trovare i numeri per l’approvazione di una legge, ritenuta magari cruciale da una parte politica, si finisce per dover modificare, tagliare o cambiare alcuni dei valori propugnati, finendo per scontentare tutte le parti in causa. 

Un altro problema tra i più additati è quello della non rappresentanza, facilmente spiegabile con gli eventi della legislatura corrente: negli ultimi cinque anni di mandato, il nostro Paese ed il mondo intero sono passati attraverso eventi che segneranno il corso del secolo, partendo dalla deriva populista, sovranista ed euroscettica, per arrivare poi a crisi pandemica e guerra in Ucraina. Le sensibilità dell’elettorato mutano sensibilmente, e di un tema che era sentitissimo nel 2018 come quello dell’immigrazione, oggi quasi non se ne parla più, sostituito piuttosto dal nascente dibattito sul nucleare. Per non parlare dell’offerta politica: se nel 2018 avevamo uno scontro tra centrosinistra a guida PD, centrodestra a trazione Lega ed un’alternativa antisistema come quella del M5S, oggi abbiamo uno scenario profondamente mutato. Ad oggi abbiamo una strana coppia PD-M5S accompagnata da piccoli partiti di sinistra, un centrodestra indebolito e guidato presumibilmente da Meloni, ed infine un centro in fermento. In particolare, sul palco liberaldemocratico, l’unico partito all’epoca in corsa era +Europa. Col tempo altri partiti sono nati raccogliendo il bisogno di creare un’alternativa, come Azione o Italia Viva; prima della nascita di questi partiti, noi liberaldemocratici avevamo ben poco spazio politico. In poche parole, nel corso della legislatura abbiamo potuto assistere ad un importante scollamento tra direzione dei partiti e polso del Paese. Da qui, la vecchia quanto utopica proposta grillina di ricorrere alla democrazia diretta.

Come disse Churchill: “La democrazia è la peggior forma di governo, a eccezione di tutte le altre”. Non aveva torto. Perché? Si può trovare una risposta guardandosi attorno: al di fuori del “mondo occidentale” non esistono modelli politico-istituzionali in grado di garantire lo stesso livello di libertà, benessere e sicurezza, come il modello liberal-democratico. Nonostante tutti i suoi difetti è l’unico sistema politico che non solo permette ai cittadini di essere parte attiva alla vita politica del Paese, ma fa di tutto affinché gli stessi vi partecipino. La liberal-democrazia senza comunità, semplicemente, non esiste. Oggi il modello liberaldemocratico è messo alla prova dall’esterno e dall’interno. Abbiamo Paesi che destabilizzano il nostro sistema e offrono un modello istituzionale autoritario, cercando di portarci a intraprendere la stessa china che ha preso l’Ungheria di Orban, usando attori che criticano dall’interno i nostri valori di democrazia e libertà. Sia chiaro: nessuno impedisce di criticare costruttivamente questi valori. È con l’autocritica che possiamo correggere i nostri errori e migliorare.

I problemi sopracitati sono usati dai partiti populisti come trampolino di lancio per dissacrare le nostre democrazie. Per questo è essenziale prendere le distanze da chi chiede i pieni poteri da una spiaggia o da chi vuole far cadere il Governo Draghi nel pieno di una crisi internazionale. Ma attenzione va posta anche su chi ieri minacciava di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, su chi ha promosso la riduzione del numero dei rappresentanti e su chi oggi si rifiuta di aiutare un Paese che vuole entrare nella famiglia democratica europea e che lotta per la propria esistenza contro una delle più grandi autocrazie. 
La liberal-democrazia può essere difesa in due modi. Il primo modo è di dibattere con i simpatizzanti dei regimi autoritari, evidenziando le fallace delle loro critiche, senza quindi ignorarli o emarginarli; è anzi doveroso fare il contrario: metterli al centro e mettere a nudo le loro menzogne. Un secondo modo è quello di partecipare agli eventi politici, come elezioni, referendum, manifestazioni. La vita democratica si basa sulla partecipazione della cittadinanza, è una sua emanazione. Non partecipare significa ridurre la qualità delle istituzioni e quindi servire su un piatto d’argento occasioni di critica distruttiva. Non partecipare alla vita politica e democratica del Paese significa rendersi co-responsabili dell’indebolimento della democrazia stessa. 
Non dobbiamo dare la liberal-democrazia per scontata. Anche la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti, sta attraversando una profonda crisi, soprattutto nel campo dei diritti. Solo per fare un esempio, il diritto all’aborto è reso impraticabile da leggi sempre più restrittive, di fatto cancellando la possibilità richiederlo. Potrebbe essere solo il primo di una lunga serie di diritti negati.

Difendiamola, perché permette a chiunque, anche a chi la critica aspramente, di esprimersi e vivere in libertà. In un qualunque altro sistema, questo non ci sarebbe concesso. “È facile criticare la democrazia in un regime democratico. Ma non è altrettanto facile criticare un regime autoritario all’interno di una dittatura”. Non esistono alternative valide alla liberal-democrazia. Rendersi attivi e partecipi dei suoi meccanismi è essenziale, militare per i partiti che la promuovono e la difendono, chiedere che questi partiti si uniscano, per noi liberaldemocratici, è quasi un dovere.

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