Il ruolo delle democrazie liberali nel conflitto in Ucraina

L’ideologia liberale è spesso ricondotta o addirittura sovrapposta al concetto di laissez faire. All’idea, quindi, che le relazioni tra i vari soggetti economici e politici si regolino autonomamente. In economia, l’esempio più celebre è quello della mano invisibile di Smith; ma abbiamo anche la storica antipatia verso le tasse, nonché il proverbiale rigore rispetto ai conti pubblici dei liberali, (perché, come si suole dire, non esistono pasti gratuiti).

Se a tutto ciò sommiamo la tendenza libertaria di invitare lo Stato a non curiosare negli affari che non lo riguardano strettamente, viene da chiedersi come sia possibile che proprio dalla galassia liberale provenga il più grande sostegno alla resistenza Ucraina. 

Com’è possibile che chi non ha voluto dare soldi alla Grecia che stava fallendo ora sostenga l’invio di armi in Ucraina, pagate con i nostri soldi? È il nuovo leitmotiv che appare sugli account sovranisti/filo putiniani. Ovviamente si tratta di una politica sterile, ma non per questo non merita una risposta.

Com’è possibile conciliare una posizione liberal-liberista con il sostegno attivo all’Ucraina?

Il liberalismo naturalmente prevede uno Stato dal perimetro molto ristretto, ma non uno Stato assente. Infatti, vari servizi vengono erogati dallo Stato, anche nelle menti dei più fondamentalisti seguaci di Friedman. La difesa, senza dubbio, è tra i doveri dello Stato: uno di quelli che nessun privato potrebbe sostituire.

Tuttavia, il punto è che noi stiamo sostenendo una nazione che non è né nella NATO, né alcun tipo di alleanza formale che ci coinvolge. La causa della difesa della sovranità ucraina è nobile, ma merita le decine di milioni di soldi pubblici in armi? Le sanzioni non sono forse una forma di limitazione della libertà personale di chi vuole commerciare con i russi? In una prospettiva liberale, si potrebbe prediligere una posizione non-interventista.

Tuttavia, sarebbe un errore. Il significato ideologico, simbolico e politico della guerra in Ucraina trascende di gran lunga qualsiasi futile questione su regioni separatiste. In sostanza, gli ucraini sono stati invasi perché ambiscono a diventare parte del nostro mondo: economia di scambio, democrazia, integrazione nel mercato europeo, diritti. Aspirazioni su cui gli Stati occidentali hanno posto il loro suggello, garantendo protezione e rispetto dei confini internazionali al governo di Kiev.

Proprio questo era il bersaglio di Putin: riaffermare la potenza della Russia di fronte ad un percepito declino dell’Occidente. Non a caso i propagandisti russi interpretano la guerra come uno scontro di civiltà: una Russia conservatrice e carica dei “sani valori” contro l’Occidente liberista e degenerato. Lasciare l’Ucraina a sé stessa avrebbe significato confermare l’impressione di decadenza, perdere qualsiasi pretesa di peso politico – in sostanza: un danno irreparabile per le democrazie liberali a favore di un rafforzamento delle autocrazie. 

Il caso dell’Ucraina dimostra proprio che libertà di scambio e diritti civili non sono un qualcosa che piove dal cielo, ma che va difeso, anche con le armi. Durante la “pace” tra Occidente e Russia, Putin ha fatto in tempo a infiltrare agenti di varia natura a vari livelli delle istituzioni politiche europee e americane, condizionando in modo quasi irreversibile la vita pubblica del vecchio continente. A lungo, abbiamo fatto affari con la Russia, rendendoci dipendenti dal suo gas e pagando così, con le nostre tasche, l’esercito che sta devastando l’Ucraina. Costringendoci, ora, a spendere altro denaro per tentare di sradicarlo.

Una sconfitta dell’Ucraina costituirebbe non solo un danno al nostro prestigio, ma anche un aumento dell’instabilità mondiale (sdoganerebbe le antiquate guerre di conquista). Al contrario, per il mondo libero è vitale essere in grado di offrire sostegno e protezione a chiunque voglia ambire alla nostra cultura e al nostro stile di vita. 

Il liberismo, e questo è bene ripeterlo, non è un’ideologia – o almeno, non nello stesso senso del comunismo o del tradizionalismo. La nostra approvazione per il sistema economico capitalistico e dei diritti civili non viene da questioni di principio, ma dall’osservazione oggettiva del fatto che queste condizioni sono quelle più compatibili con il benessere e lo sviluppo dell’essere umano. Queste condizioni vanno difese anche in senso geopolitico: attraverso l’alleanza con altri Stati liberali, il rafforzamento del mondo libero, la limitazione attiva del potere delle autocrazie.

Il famoso Anonimo Ateniese (spesso identificato in Crizia, leader dei Trenta Tiranni) disse qualcosa di simile nel suo celebre trattato “La costituzione degli Ateniesi“. In mezzo alla “guerra fredda” tra Sparta e Atene, si accorse di come Sparta ambisse ad allearsi con città aristocratiche, e favorisse il sorgere di oligarchie in tutti i suoi alleati. Atene, al contrario, tendeva ad attrarre le democrazie, ma anche a imporle attraverso la forza e l’intrigo. L’Anonimo aveva compreso che l’ideologia è un collante potente delle relazioni internazionali. 

Oggi, il nostro mondo è simile a quello descritto da Crizia, o chi per lui. Gli Stati che ambiscono alla democrazia e al libero mercato guardano a Ovest, mentre le autocrazie si associano a vicenda: verso Teheran, Mosca, Pechino. Ci sono forze in atto che vogliono distruggere o indebolire con ogni mezzo le democrazie liberali, e sostenere l’Ucraina ed essenziale al fine di impedirgli di farlo. Armare Kiev non è un atto di ideologia, ma di realismo politico. 

Per uno Stato liberale, la difesa della propria libertà deve essere la priorità, e appaiono ormai evidenti i tentativi della Russia di indebolire e danneggiare il set di valori occidentali. Anche per questo fermare Putin, sostenendo l’Ucraina, non è semplicemente conciliabile con un’impostazione liberale, bensì ne è la conseguenza più logica.

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