Vi fu un tempo in cui le migliori culture liberali italiane convissero sulle pagine di un settimanale, in una redazione che mirava non solo ad essere un punto di riferimento dell’intellighenzia del Dopoguerra, ma a costituire il nerbo di una vera e propria “Terza forza” liberal-democratica. Questo era il Mondo di Mario Pannunzio, antifascista e giornalista a Omnibus, Oggi, Risorgimento Liberale, tra i fondatori del rinato Partito Liberale e poi, nel 1955, del Partito Radicale.
L’idea di Pannunzio era quella di fare un giornale politico e culturale, trait d’union tra le diverse tendenze liberal-democratiche, dalla liberale classica alla riformista. Lo scopo era chiaro: «mettere a nudo le divergenze che fino ad ora hanno tenuto divisi i liberali, sottolineando i punti di accordo che speriamo saranno domani trovati per una fraterna unificazione». Era sentita l’esigenza di rinvigorire un’area democratico-laica alternativa a bianchi e rossi: Il Mondo fu una risposta all’arretratezza dei marxisti e alla crisi del centrismo in Italia, in quegli anni rappresentante non della necessità riformatrice ma della grigia cristallizzazione degli interessi vigenti nell’Italia post-bellica.
Pannunzio ebbe il proposito di usare lo strumento giornalistico non solo per aggregare individui e gruppi per fermare lo sfaldamento del suo ambiente di origine, ma sopratutto per trovare un ricongiungimento tra cultura e politica. Oltre al gruppo liberale composto da Pannunzio stesso, Mario Ferrara, Nicolò Carandini, Francesco Libonati, Carlo Antoni e Panfilo Gentile, subito vi fu l’interesse a coinvolgere penne e personalità di aree differenti: don Luigi Sturzo, Giuseppe Saragat, Indro Montanelli. Nondimeno al periodico collaborarono uomini illustri e liberali di tutti i tipi: i repubblicani La Malfa, Spadolini e Visentini; i socialisti Silone e Lombardi; gli economisti liberali Luigi Einaudi, Wilhelm Röpke e Guido Carli; gli ex azionisti Ernesto Rossi, Leo Valiani, Mario Paggi e Luigi Salvatorelli; il federalista Altiero Spinelli, il liberal-cattolico Arturo Carlo Jemolo. Una generazione di intellettuali senza casa, arrembante. E ancora Marco Pannella, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Leonardo Sciascia, Eugenio Scalfari, Tommaso Landolfi, Thomas Mann, George Orwell.
Per diciotto anni il Mondo fu un esperimento visionario, fondato sull’approfondimento delle questioni sociali, economiche ma anche artistiche e culturali: in una lettera all’antifascista Riccardo Bauer, Pannunzio affermava: «È un po’ la cifra del nostro giornale di tenersi sul terreno delle cose, di fare vedere da vicino i nostri mali, di proporre rimedi». Fu con questo spirito che su quelle pagine vennero trattate tematiche ancora attuali come i problemi della scuola, il nucleare, i rapporti Stato-Chiesa e la laicizzazione dei costumi, l’unificazione europea.
La lezione pannunziana vive ancora: la rinascita civile e morale del Paese, oggi come settant’anni fa, passa attraverso l’unità nella differenza delle culture liberali nella cifra del pragmatismo, della militanza fatta col cuore, col cervello e con la penna. Nel carteggio con Mario Paggi, Pannunzio sentenziò: «Quando noi chiediamo al Partito Liberale di assumere posizioni di centro, vogliamo che esso non soltanto non si allei coi partiti di destra, ma che li combatta trovando alleanza coi partiti laici» e se «quei partiti medi daranno dimostrazioni di opportunismo, velleità e viltà, qualcuno prenderà il loro posto. Se poi nessuno lo farà e la lotta politica si svolgerà soltanto tra i due contendenti maggiori, ci daremo alla lotta clandestina».