In questo blog di libeRI! Si presentano sempre articoli ispirati ai fatti più recenti e di tendenza. Si spera quindi sia perdonato a chi scrive di rompere per una volta con questa linea e di andare a toccare un tema teorico. Il ragionamento che si vuole provare a portare in questo articolo riguarda la collocazione ideale delle differenti correnti del liberalismo contemporaneo. L’occhio è sia alla diversificata vocazione partitica di tali correnti del liberalismo politico italiano nel sistema attuale dei partiti, sia ai motivi di tale diversificata vocazione. Motivi ben più profondi delle diverse storie partitiche dei diversi promotori italiani del liberalismo politico durante la ferina (e feroce) stagione politica della Seconda Repubblica.
La riflessione di questo articolo trae ispirazione dalle recenti incertezze dei partiti di riferimento dell’area centrista in Italia nel costruire un’alleanza condivisa e coerente per le prossime elezioni europee. Per quanto tutti questi partiti possano richiamarsi al liberalismo come a una loro componente e spirazione irrinunciabile, essi esprimono a ogni occasione utile le proprie differenti istanze, parlando di “sensibilità” e “identità” differenti. È proprio nel tentativo di spiegare queste differenti sensibilità e identità intorno a una comune ispirazione liberale che la nostra analisi si muove, cercando di giungere a una conclusione di cui tanto lo studioso di fenomeni politici quanto l’attivista liberale possano farsi qualcosa.
Si danno due premesse: la prima è sulla definizione di ideologia, la seconda sulla nozione più neutra e più ampiamente condivisibile possibile di liberalismo. L’ideologia è oggi semanticamente travisata dalle varie letture, date da Hannah Arendt in poi, che fanno di essa un’impostazione trasformativa e dirigista della realtà intorno a noi e che risentono della traumatica esperienza del totalitarismo, interpretato come la vera e propria pervasione dell’ideologia nella vita degli Stati che vi si allineano. Occorre risalire agli ideatori del concetto stesso di ideologia per capirne il senso più puro: gli idéologues, gruppo di tardi illuministi francesi del periodo della Rivoluzione. Per questi pensatori, fortemente influenzati dalla filosofia empirista, gli altri illuministi si erano focalizzati su problemi troppo astratti e non sui principii teorici e culturali di funzionamento delle organizzazioni sociali e politiche: l’ideologia, scienza della formazione e dell’origine delle idee, era la risposta a questa esigenza. Se si dà al termine “scienza” il significato non solo di metodo conoscitivo (oggigiorno la sfumatura dominante data al termine), ma anche di metodo performativo, di tecnica, di dottrina pratica, ecco che la nozione di ideologia può tornarci molto utile per analizzare anche fenomeni odierni come il liberalismo contemporaneo.
Assodato che il liberalismo possa essere ritenuto un’ideologia, si deve passare alla seconda premessa fondamentale del nostro ragionamento: il liberalismo è l’ideologia con il focus specifico sulla definizione dell’individuo e dei suoi diritti. Il liberalismo è dunque un’ideologia che avanza una rivendicazione specifica e chiara, condividendo questo tratto con alcune altre ideologie: il marxismo, l’ambientalismo e il transfemminismo. Tutte queste ideologie, al momento operativo, tendono a frazionarsi al loro interno in più organizzazioni, ognuna delle quali porta avanti la stessa rivendicazione, ma con linguaggi, tempi e strategie differenti, se non in aperto contrasto.
Guardando al liberalismo, per osservare questa dinamica conflittuale intestina possiamo fare riferimento ai vari contesti nazionali sorti dopo la Grande Guerra, dove i liberali europei affermarono soluzioni varie e difficilmente aggregabili tra loro. Mentre in Russia i liberali si erano divisi tra i monarchici ottobristi e i cadetti già nel 1905, in Italia a guerra finita la divisione si aveva in ancora più parti e nelle neonate Polonia e Cecoslovacchia il liberalismo assumeva chiari tratti nazionalisti. Il liberalismo arrancava nella Francia vincitrice, mentre nella perdente Germania e in Scandinavia le dominanti forze politiche socialdemocratiche mostrarono una notevole e sorprendente acquisizione di metodo liberale sul piano istituzionale. Il caso più significativo rimane comunque il Regno Unito: messo sempre più in crisi dall’avanzata dei laburisti come grande alternativa ai Tories, a metà anni ’20 i liberali si spaccarono sempre più, anche a livello generazionale, tra un’ala di sperimentatori eterodossi aperti alla sfida della politica di massa (con a capo Keynes e Lloyd George) e i vecchi Whighs contrari agli scioperi.
Assodato che il liberalismo può ispirare diversi modi di fare politica e risolvere i problemi concreti di un tempo storico e assodato anche che in ciò è simile ad altre ideologie che insistono su specifiche rivendicazioni, va detto che la maggioranza delle ideologie esistenti è di tipo diverso. Esse, infatti, non premono sul primato di un insieme di necessità che tirino dietro di sé tutte le altre urgenze e il cui soddisfacimento sia risolutivo di ogni stortura e disfunzionalità percepita: bensì, queste altre ideologie sostituiscono la rivendicazione di domande disattese con l’identificazione formale e sostanziale dei soggetti di potere in cui ogni domanda politica trovi il proprio spazio di ascolto, ricezione, elaborazione e risoluzione. Cioè, esse esprimono non una necessità o missione nel mondo, ma una vera e propria visione ordinata del mondo stesso, con una precisa disposizione dei soggetti istituzionali, sociali e culturali preposti alla legittimazione dell’azione politica. Poiché si tratta di ideologie capaci di organizzare la vita politica di gruppi umani complessi e di accogliere potenzialmente un’ampia gamma di istanze, le si può definire, a ben vedere, ideologie veicolanti.
Si possono fare molti esempi di ideologie veicolanti: il popolarismo, il tradizionalismo teocratico, il nazionalismo, il razzismo, l’anarchismo, il repubblicanesimo federale, il radicalismo, il populismo, il conservatorismo, il fascismo, il paternalismo statalista, il democratismo e anche il socialismo e il comunalismo (ben più risalenti del marxismo, con radici nel ‘500). Questa carrellata consente di affermare che tali ideologie veicolanti abbiano avuto tutte un certo successo nella storia, grazie alla loro duttilità nel Policy-making e nei processi di State-building. Infatti, tutte queste ideologie hanno costruito, se non Stati, almeno identità collettive solide e apparati organizzativi e di gestione dell’iniziativa politica molto duraturi. Se si guarda all’Italia, ciò è piuttosto palese: anche se PCI e PLI hanno influenzato la cultura italiana decisamente anche negli anni successivi alla loro dissoluzione, negli ultimi due decenni della Prima Repubblica emergeva comunque la superiorità delle organizzazioni democristiane popolari e socialiste e della loro capacità di controllo sui militanti e sull’organizzazione del potere. Del resto, addirittura repubblicani, socialdemocratici e missini dimostravano capacità di lobbying e concertazione paragonabili a quelle di liberali e comunisti, ma con capacità di influenza culturale e bacini di consenso piuttosto limitati rispetto a liberali e, soprattutto, comunisti.
Negli anni ’90 e fino a pochi anni fa il ciclone della post-ideologia ha investito tutto il sistema politico italiano fondato su partiti con chiari riferimenti ideologici, portando all’ergersi prima dei due “mostri di Frankenstein” del bipolarismo destra-sinistra (capaci di inglobare sensibilità politiche inconciliabili senza soddisfare nessuno che vi fosse direttamente coinvolto) e poi del Movimento Cinque Stelle. Questa lunga stagione ha lasciato solo macerie, lasciando ogni nuova formazione politica orfana di legami diretti con le grandi famiglie ideologiche. Tuttavia, il sistema politico si sta riorganizzando con forze partitiche che, quando consapevolmente e quando meno, riprendono le ispirazioni di quelle ideologie veicolanti di cui sopra. Se FdI raccoglie l’eredità del vecchio MSI e ingloba tanto dei nazionalisti quanto dei conservatori, il PD odierno a guida Schlein richiama a sé tanto il democratismo quanto il paternalismo statalista. Azione fa riferimento piuttosto frequente e consapevole alla tradizione del repubblicanesimo italiano, mentre IV ha un modus operandi più di sapore popolare, anche se il riferimento è decisamente meno marcato che in Azione con il repubblicanesimo. Storia diversa per +Europa, forza politica che anche nelle sue strutture e nei suoi protagonisti traccia una linea di continuità con l’ultrasecolare tradizione radicale italiana, ben più antica del pur grande Partito Radicale.
Il lettore liberale engagé potrebbe storcere il naso nel leggere i tre partiti alla luce solo del loro differente approccio ideologico veicolare. Infatti, tali partiti, pur presentando un modo di fare politica e una sensibilità sui temi differente in varia misura, si richiamano in modo comune al liberalismo. Esse hanno nei diritti individuali, nel libero mercato e negli Stati Uniti d’Europa una meta comune, ma operano per il comune scopo con strategie diverse, dovute alla differente estrazione ideologica veicolante. Il liberalismo rimane però l’ideologia comunemente veicolata. Si può quindi dire che quelle ideologie fondate su rivendicazioni specifiche di cui si era parlato all’inizio dell’articolo (cioè, ambientalismo, transfemminismo, marxismo e liberalismo) sono ideologie veicolate da ideologie veicolanti. Il transfemminismo e l’ambientalismo, ad esempio, in Italia sono molto veicolati da un PD statalista e democratico a livello di ideologia veicolante.
Va sottolineato che fuori dall’Italia non ci sono solo partiti repubblicani, radicali e popolari a veicolare il liberalismo: a spingere le vele della cultura dei diritti individuali oltre le Alpi ci sono anche movimenti anarchici (anarco-capitalismo), conservatori (neocons) e democratici (liberals. Guardando più indietro nel tempo, purtroppo il liberalismo in tanti suoi aspetti è stato veicolato anche dal militarismo fascista di Pinochet e più recentemente dal populismo latinoamericano di Javier Milei, mentre in Italia è vissuta per tanto tempo in minoranza e ostracizzata sia da destra che da sinistra una componente socialista liberale (che ha nelle figure eroiche e tragiche dei fratelli Rosselli le sue espressioni migliori e purtroppo vastamente incompiute nel panorama democratico ed elettorale italiano).
Di fronte a una tale vastità di possibili veicoli per il liberalismo, al liberale italiano, così come all’appassionato studioso della materia politica, si presentano due conclusioni apparentemente in contrasto, ma in realtà compatibili dentro lo stesso quadro interpretativo e operativo. La prima conclusione che si può trarre è che i tre partiti che in Italia veicolano il liberalismo presentano ideologie veicolanti (o, se si vuole, culture politiche) certamente diverse ma non tra loro inconciliabili. Tali formazioni partitiche possono quindi portare avanti i propri scopi comuni con la giusta dose di senso pratico, attraverso, se non un partito unico (purtroppo complicato da formare), almeno un assetto di tipo federale.
La seconda conclusione che a fine articolo si può desumere è che tre partiti con tre ideologie veicolanti diverse sono un po’ poco per garantire al liberalismo e all’attenzione ai diritti dell’individuo un efficace successo nel sistema valoriale e legale italiano. In questo modo i princìpi liberali rischiano molto concretamente di essere accantonati (come sta accadendo) ogni qualvolta le elezioni dicano male ai pochi e per ora piccoli partiti che li tutelano. Se si vuole che il liberalismo torni ad essere la stella polare della cultura e del senso delle istituzioni in Italia, è necessario che i liberali abbiano la mente aperta e siano inclusivi e non settari: bisogna formare al liberalismo chiunque lo voglia, anche provenendo da realtà apparentemente distanti. In questo modo il liberalismo sarebbe flessibile e al sicuro dai normali rivolgimenti elettorali. Naturalmente, non si può pretendere che i liberali assolvano a questo compito educativo e inclusivo a partire dai partiti di appartenenza: questo ruolo spetta alle fondazioni e alle associazioni di ispirazione liberale e libeRI! sta già sostenendo, come anche altre realtà però ancora piccole, questo grande, ma indispensabile, sforzo di diffusione del liberalismo.