L’energia nucleare è tornata al centro del dibattito negli ultimi giorni, dopo che la Commissione europea l’ha finalmente etichettata come energia verde. Ma come al solito, non se ne riesce a discutere seriamente, con dati alla mano. Neppure quando la sua necessità diventa evidente ed innegabile. Nemmeno quando gli eventi ci portano a convergere su una rivalutazione di questa risorsa.
Facciamo un passo indietro: crisi climatica. Un argomento di cui forse non si parla ancora abbastanza. Eppure il primo allarme fu lanciato dal rapporto Charney, nel 1979. Nel documento veniva evidenziato come un sistema basato su combustibili fossili e deforestazione fosse insostenibile nel lungo periodo e come le conseguenze del cambiamento climatico si sarebbero viste solo a distanza di anni.
Arriviamo ad oggi, finalmente la questione è affrontata, o quantomeno presa in considerazione. Prima della pandemia, i Fridays For Future sensibilizzavano la popolazione, portando all’opinione pubblica una nuova sfida da affrontare, come collettività globale. Nel contempo, i Governi di buona parte dei Paesi occidentali si prodigavano in dichiarazioni e promesse per fermare le emissioni di CO2, in favore di energie rinnovabili.
Oggi iniziamo a vedere la luce in fondo al tunnel, il Covid sembra stia per diventare una malattia endemica, molti Paesi europei guardano alle riaperture, le industrie e le attività hanno ripreso a funzionare, l’economia si rimette in moto con tutte le difficoltà del caso, che comunque non sono poche. L’esplosione della domanda dopo il primo lockdown ha generato un aumento dei costi in ogni settore, incluso quello energetico. L’aumento dei costi dell’energia si innesta nel dibattito europeo sull’uso del rinnovabile. Ancora una volta infatti, i Paesi europei si muovono in ordine sparso: da una parte i Paesi che avversano la decisione della Commissione, come la Germania e l’Austria, che pensa anche di fare ricorso alla Corte di Giustizia europea; dall’altra i Paesi a favore del nucleare, come la Francia, che fa sapere per mezzo del presidente Macron che nuove centrali nucleari verranno aperte a breve, ponendosi in prima linea nella ristrutturazione delle strategie energetiche europee.
L’Italia? Al momento non ha espresso una posizione chiara o inequivocabile. Ma certamente, l’opinione pubblica rimane restia nell’affrontare apertamente il dibattito. Se ben ricordate, lo scorso anno le regioni si sollevarono contro la decisione del Governo di importare scorie nucleari in Italia dalla Francia, costruendo un nuovo impianto di smaltimento. Non è difficile immaginare quindi quale sarebbe la reazione diffusa nel caso in cui decidessimo di aprire una centrale nucleare. Eppure, l’attuale contesto europeo spinge ad una riflessione pragmatica e scevra da ideologie: come già scritto, l’aumento dei prezzi del settore energetico è dovuto all’esplosione della richiesta. Ma non solo. Alle porte d’Europa si sta combattendo una guerra di nervi, tra Russia e NATO, che inevitabilmente ha colpito le nostre economie. L’Europa scalda le proprie case grazie soprattutto al gas proveniente dalla Russia, ed in particolar modo, il 40% del gas usato in Unione Europea passa dall’Ucraina, ossia proprio quel Paese che la Russia non vuole lasciare respirare di vita propria. Nonostante i Paesi europei si stiano schierando con l’Ucraina, sanno di non poter ricorrere a grandi sanzioni o atti d’eroismo (simbolici, si intende), perché la Russia ha il coltello dalla parte del manico: il gas. Se l’Orso decidesse di “chiudere i rubinetti”, l’Unione europea non avrebbe risorse energetiche sufficienti, e dovrebbe scegliere tra riscaldare le case dei cittadini o mandare avanti le industrie. Sia chiaro, stiamo parlando di una eventualità estrema: nemmeno alla Russia converrebbe interrompere l’export di gas. Ma ciò non toglie che continuare a vivere di combustibile fossile non sia la scelta più saggia, né per il clima né per la nostra posizione geopolitica.
Dopo questo lungo excursus, torniamo a noi. Cosa dovremmo fare? Dovremmo accostarci alla Francia nella ristrutturazione della strategia energetica europea. Investire sul nucleare oggi significa avere una importante voce in capitolo domani. Potremmo puntare ad una indipendenza energetica che giovi a favore non solo dell’Italia, ma dell’Unione Europea intera. Investire sul nucleare significa creare nuovi posti di lavoro, e potenzialmente richiamare nel nostro Paese tutti quei cervelli con competenze nel campo, fuggiti al termine dei loro studi per trovare lavoro. Investire nel nucleare significa tendere una mano all’ambiente, ed allo stesso tempo togliere potere negoziale a Paesi che giocano nello scacchiere europeo contro i nostri interessi. Investire nel nucleare vuol dire anche investire nella ricerca, in un settore che negli ultimi decenni ha fatto passi da gigante. Ciò significa inventare e migliorare nuove e più sicure tecnologie, che rendono l’energia nucleare non solo più conveniente, ma anche più sicura e potente. Investire sul nucleare ci metterebbe in diretta competizione con la Cina, che ha ormai iniziato a scommettere sui reattori a fusione, possedendo centrali tra le più avanzate al mondo. In questo abbiamo fatto un importante passo in avanti: appena qualche settimana fa, gli scienziati di EUROfusion sono riusciti a mantenere acceso un reattore a fusione per 5 secondi, che potrebbe sembrare poco, ma è un importantissimo passo verso il futuro dell’energia nucleare, dell’indipendenza energetica e della sostenibilità. Uno sviluppo in questo senso permetterebbe di strappare alla Cina una fetta importante di mercato, creare competizione e non lasciarle il monopolio, avendo la possibilità di assumere una seria postura a livello internazionale.