Elezioni in Turchia: come e perché ci riguardano da vicino

Si svolgono oggi in Turchia le elezioni per la Presidenza della Repubblica ed il rinnovo della Grande Assemblea nazionale, cioè il Parlamento turco. Affinché un candidato alla presidenza venga eletto, è necessario che raccolga la maggioranza assoluta dei voti (50%+1). In caso contrario, si procederà al ballottaggio tra i due candidati che avranno ottenuto più preferenze. Secondo la maggior parte degli analisti, è improbabile che il 14 Maggio emerga un vincitore e sarà pertanto necessario ricorrere ad un secondo turno il prossimo 28 Maggio tra Erdogan e (ormai quasi certamente) Kiliçdaroglu. Queste elezioni non saranno importanti solo per il Paese in questione, ma avranno una fortissima rilevanza dal punto di vista geopolitico, in particolare per l’intero Patto Atlantico.

Quella turca è una lunga ed interessantissima Storia: da territorio dominato dalle poleis greche a ultimo baluardo dell’Impero Romano (d’Oriente), da terra di conquista turca a zona di scorribande mongola, da piccolo regno a grande impero, ed ancora da repubblica a potenza regionale. Poco più di un secolo fa, la Turchia (o meglio l’Impero Ottomano) era percepita come uno dei Paesi ostili all’Occidente (inteso in senso ristretto), essendo parte delle potenze della Triplice Alleanza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Turchia perse tutti i propri possedimenti territoriali al di fuori dell’Anatolia e quest’ultima venne divisa in aree d’influenze tra le nazioni vincitrici; il Paese venne lasciato nelle mani delle nazioni vincitrici, incentivando l’insurrezione dei nazionalisti turchi che rinunciarono all’impero ma non accettarono che il territorio turcofono venisse smembrato. Emerse così la figura di Mustafa Kemal, detto Ataturk (padre dei turchi), fondatore della moderna Repubblica di Turchia. Ataturk iniziò un lungo periodo di riforme che va dal 1923 al 1938, anno della sua morte. Le riforme furono improntate allo scopo di risollevare la Turchia ed avvicinarla alle democrazie occidentali tramite un percorso ispirato da laicità, democrazia ed esclusione degli elementi arabeggianti (con l’adozione, per esempio, dell’alfabeto latino).

Ma perché queste elezioni sono per noi così rilevanti? Perché potrebbero essere le ultime elezioni del presidente turco uscente, Recep Tayyip Erdogan, presente sulla scena politica dal 2002. Erdogan ed il suo partito, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), hanno ricoperto un ruolo da protagonista fino ad oggi, variando sensibilmente la visione che avevano del Paese: se alla sua fondazione e durante la prima legislatura, l’AKP si presentava come un partito liberal-conservatore, favorevole all’ingresso nell’UE e fondamentalmente moderato, a partire dal 2016 (anno del tentato golpe da parte di una frazione dell’esercito) ha assunto posizioni sempre più reazionarie, nazionaliste ed islamiste, prendendo le distanze dai valori europeisti che prima propugnava. Serve però dare un po’ di contesto per poter capire perché bisogna guardare alla Turchia nelle prossime settimane.

La Turchia fa parte della NATO dal 1952 ed occupa una posizione di rilievo all’interno dell’Alleanza: il Paese funge da vero e proprio ponte tra Europa ed Asia, è un osservatore privilegiato di quanto accade nel Medio Oriente ed ha un ruolo cardinale nel Mar Nero; soprattutto, è il Paese che regola il passaggio tra Mar Nero e Mar Mediterraneo attraverso gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli.

Un Paese in questa posizione, insomma, è meglio averlo alleato che nemico. Ma fin da quando la Turchia è entrata nella NATO, ha sempre avuto un atteggiamento altalenante: pur facendo parte del Patto Atlantico, ha continuato a perseguire i propri interessi nazionali anche attraverso atteggiamenti ostili, si pensi ad esempio all’invasione di Cipro nel 1974 o, in tempi molto più recenti, al modo in cui usa i migranti mediorientali come arma contro l’Unione Europea (alla quale, seppur meno insistentemente, aveva chiesto di aderire).

Rimanendo in ambito NATO, la Turchia ha fatto valere il proprio peso anche nella recente adesione della Finlandia. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, Erdogan non ha esitato ad imporre pesanti condizioni a Svezia e Finlandia, tra i quali l’estradizione di alcuni esuli curdi (perseguitati in Turchia), e ad altri Paesi NATO, al semplice scopo di sventolare una vittoria politica in patria. Nonostante l’emergenza di carattere bellico, il Sultano non ha avuto alcun rimorso a rallentare il processo di inclusione di Svezia (ancora sospesa) e Finlandia nella NATO.

Avendo citato la guerra in Ucraina, va sottolineata anche la posizione del Paese nel conflitto. Dopo l’invasione infatti, la Turchia ha sì condannato l’aggressione, ma non ha mai proceduto a varare delle sanzioni contro la Russia. Piuttosto, ha cercato di offrirsi come un porto franco nel quale le diplomazie belligeranti potevano incontrarsi per mediare una soluzione al conflitto. Nonostante ciò, ha comunque mantenuto un ruolo attivo: se è vero che la Turchia non ha mai imposto sanzioni alla Russia, è pur vero che ha provveduto alla vendita di droni Bayraktar all’esercito ucraino ed ha giocato un ruolo di primordine nel raggiungimento dell’Accordo sul Grano, teso a garantire il passaggio di navi mercantili ucraine attraverso il Mar Nero e gli Stretti (accordo che, se non fosse stato raggiunto, avrebbe potuto causare una carestia generalizzata in buona parte dei Paesi in via di sviluppo, essendo l’Ucraina uno dei più grandi esportatori di grano nel mondo).

Ma perché riportare tutti questi fatti riguardanti la Turchia? Cosa hanno a che vedere con le elezioni imminenti? La risposta è una: la postura che avrà il Paese ed il modo in cui il prossimo governo turco si presenterà nelle questioni elencate.

Erdogan ha una visione chiara di come vuole la sua Turchia: conservatrice e reazionaria, islamica, ambigua nelle relazioni con l’Estero, a tratti anti-Occidentale, imperiale, accentrata. D’altra parte, l’opposizione è riuscita a compattarsi intorno alla figura di Kiliçdaroglu, che ha l’unico pregio di essere l’alternativa ad Erdogan. Infatti, il solo trait d’union dei partiti d’opposizione è, appunto, l’opposizione alla figura di Erdogan. La coalizione formatasi in vista delle elezioni mette insieme partiti che hanno anche ben poco a che fare tra loro, spaziando dagli ultra-nazionalisti dei Lupi Grigi ai nazionalisti curdi (e si sa, mettere insieme nazionalisti diversi è quasi sempre impossibile), fino anche a socialisti e verdi.

Per il resto, il programma elettorale si presenta essere agli antipodi rispetto alle promesse del presidente uscente: normalizzazione delle relazioni con UE e NATO, maggiore sostegno all’Ucraina, allontanamento dalla Russia e, in politica interna, una riscoperta del ruolo del Parlamento (indebolito sempre di più da Erdogan a partire dal 2016), una maggiore tutela dei diritti ed il ripristino dello stato di diritto. Il programma di Kiliçdaroglu potrebbe essere definito neo-kemalista, poiché va a riprendere alcuni dei punti fondamentali della politica di Ataturk. Intenzioni a parte, come il programma verrà realizzato e come le forze politiche si accorderanno per implementarlo, non ci è dato sapere. Il rischio è che, con la vittoria di Kiliçdaroglu, segua una forte instabilità che porti a nuove elezioni anticipate ed il ritorno di un Sultano ancora più forte e reazionario.

Questa volta Erdogan non sembra avere un gioco facile: deve affrontare la precarietà economica del Paese, l’instabilità monetaria della lira turca e l’inflazione galoppante, lo scontento della popolazione giovanile ed i danni del terremoto che ha devastato il sud-est del Paese appena qualche mese fa, proprio le regioni dove il presidente uscente ha il suo principale bacino elettorale. Il risultato non è scontato: seppur l’opposizione sembri essere (di poco) in vantaggio secondo alcuni sondaggi, la limitazione di internet, la censura di regime, le mance elettorali ed i già conclamati casi di voto di scambio (soprattutto nelle aree terremotate), potrebbero consegnare la Turchia nelle mani dell’AKP per altri 5 anni.

Lo scontro elettorale è entrata nel vivo questa settimana, ed Erdogan alza i toni arrivando anche ad attacchi personali: dopo aver definito Kiliçdaroglu un vecchio stanco ed un ubriacone, lo ha denigrato sostenendo che il suo scopo è quello di indebolire la figura virile dell’uomo turco, solo perché il candidato d’opposizione si è fatto ritrarre a preparare il caffè in una cucina. L’episodio è sufficiente per farci capire quanto misogina sia la visione del Sultano.

Dire come andrà a finire è impossibile. Certo è che il mondo intero guarderà a queste elezioni col fiato sospeso: l’Occidente, la Russia, la Cina e molti altri Paesi hanno sia da guadagnare che da perdere in base al risultato che la cittadinanza turca vorrà (o tenterà) di esprimere. Non ci resta che osservare.

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