Elettori fuori sede: troppo pochi per contare

Puntuale ad ogni elezione si ripresenta il tema del voto per i fuorisede. In Italia, studenti e lavoratori che, per ovvie cause di forza maggiore, si trovano lontani dal loro luogo di residenza, sono impediti nell’esercizio del diritto civile per eccellenza. Questa deprivazione è resa ancora più particolare dal fatto che per gli italiani residenti all’estero il diritto di voto è garantito da vent’anni. Sebbene nel corso degli anni siano stati introdotti alcuni palliativi in termini di sconti sul biglietto di treni, traghetti o aerei, il nostro Paese è ben lontano dagli standard di accessibilità al voto delle altre realtà europee.

Le dimensioni del fenomeno

La fotografia più precisa sull’elettorato italiano è offerta dai dati Istat raccolti nella relazione  Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto, pubblicata nel maggio del 2022 e redatta da una commissione di esperti su indicazione dell’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà. Aggiornata ai dati delle politiche del 2018, dalla relazione si evince che la popolazione dei fuorisede è di 4,9 milioni di elettori, pari a circa il 10% degli elettori residenti in Italia (ca. 46 milioni) e al 22% degli elettori che studiano o lavorano (ca. 22,7 milioni). A loro volta, i fuorisede sono al 12% studenti e all’88% lavoratori. Ipotizzando che la situazione più critica sia quella dei fuorisede che necessitano di uno spostamento (andata e ritorno) complessivo di più di 4 ore per votare, la percentuale complessiva dei fuorisede sul corpo elettorale si abbassa al 4%, con picchi al Sud e Isole (rispettivamente 5,8% e 6%).

Un esercizio interessante è valutare l’impatto dei fuorisede sull’astensionismo e (perché no?) sugli esiti elettorali.

Ipotizzando (come scenario estremo) che l’astensionismo associato alla lontananza dal luogo di residenza possa aver coinvolto l’intero universo sopra descritto, il peso misurato sul tasso di astensionismo registrato nelle elezioni politiche del 2018 ne risulterebbe “spiegato” in media per oltre 4 punti percentuali su 27 a livello nazionale.

Considerando che nelle elezioni del 2022 l’astensione è stata del 36,1%, non si può escludere che l’incidenza percentuale sia aumentata in proporzione. Alcune analisi hanno infatti trovato una correlazione tra la presenza sensibile di fuorisede provenienti dal Mezzogiorno e l’aumento dell’astensionismo in quelle stesse regioni.

A livello di voti, ipotizzando che la quota parte di fuorisede per motivi di studio appartenga alla fascia di età 18-24, alla luce delle analisi del voto (BiDimedia, SWG, IPSOS, iXè), la loro partecipazione avrebbe avvantaggiato i partiti alternativi al centrodestra; tuttavia, i numeri in gioco sono troppo esigui per immaginare che il voto dei fuorisede avrebbe potuto in qualche modo cambiare sensibilmente l’esito delle elezioni.

Probabilmente è proprio lo scarso impatto in cifre dei fuorisede che ha determinato, sino ad ora, l’inazione della politica nei loro confronti.

La proposta italiana e la prassi europea

Eppure in questa legislatura le cose sembravano aver avuto una svolta decisiva quando un testo di legge per il voto fuorisede è giunto in Commissione Affari Costituzionali. La proposta prevede che i cittadini possano richiedere di votare in un seggio diverso da quello naturale del comune di residenza, specificando che tale possibilità viene concessa unicamente a fronte di motivi circostanziati di studio, di lavoro o di cura. La modalità di voto proposta è quella del voto anticipato presidiato: i seggi per i fuorisede sarebbero allestiti nei tribunali, nelle prefetture o in altri luoghi istituzionali e le schede verrebbero poi spedite presso la sezione di residenza dell’elettore in tempo per essere conteggiate con tutte le altre.

I tempi di approvazione della proposta di legge hanno però subito un prolungamento per la decisione del parlamento di delegare al governo la disciplina del voto fuorisede. In aggiunta, la legge delega ha tagliato fuori la parte relativa al voto delle politiche; l’esecutivo interverrà solo sulla regolamentazione del voto per le consultazioni referendarie e le elezioni europee.

Ma mentre in Italia le cose vanno a rilento, come si comportano gli altri paesi europei?

Ad eccezione di Cipro e Malta, tutti gli altri membri dell’UE prevedono qualche soluzione per il voto fuorisede. Gli approcci seguiti sono principalmente tre: voto per posta, voto per delega o voto elettronico.

Nel voto per posta, come in Spagna o Germania, gli elettori ricevono la scheda elettorale direttamente a casa e devono inviarla al seggio elettorale di competenza prima delle elezioni. Nel Paese iberico, la partecipazione al voto per posta è stata del 94%. In Francia, Svezia e altri Paesi, il voto per delega permette di indicare una persona come delegato a votare in nome e per conto propri. La delega deve essere presentata ad un pubblico ufficiale prima delle elezioni; il delegato deve essere una persona iscritta nella stessa lista elettorale del delegante. Infine l’Estonia è il primo Paese ad aver introdotto la possibilità di votare in via telematica dal PC di casa.

Queste misure, tuttavia, non sembrano applicabili al nostro Paese. La sopracitata relazione sull’astensionismo ritiene infatti che il voto per posta o per delega sia in contrasto con le prescrizioni di personalità e segretezza del voto sancite dell’articolo 48 della Costituzione, mentre il voto elettronico presenta ancora dei punti aperti in termini di complessità tecniche e di sicurezza. Infine, date le situazioni di fatto, le caratteristiche sociali, culturali, geografiche ed economiche dell’Italia, la relazione valuta troppo alto il rischio di inquinamento del voto per suggerire forme di votazione non presidiate.

Tutta una questione di volontà… politica

Alla luce dei fatti, il prolungato disinteresse per il voto fuorisede in Italia sembra essere alla scarsa numerosità dei fuorisede stessi. Essi costituiscono complessivamente il 10% dell’intero corpo elettorale e ragionevolmente solo la metà non riesce effettivamente a presentarsi alle urne (per motivi strettamente legati alla distanza). Troppo pochi per suscitare un qualche minimo interesse politico nei loro confronti. Mentre negli ultimi vent’anni il resto dei paesi europei ha messo a terra soluzioni per garantire il diritto universale al voto, in Italia il tema è sempre stato tralasciato perché – ipotesi – considerato politicamente non rilevante e determinante. Finalmente qualcosa sembra muoversi e l’augurio è che presto tutti i cittadini italiani vengano messi nelle condizioni di esercitare questo diritto/dovere fondamentale, ma per farlo servirà tanta forza di volontà (politica).

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