La cittadinanza attiva passa anche per la qualità e la quantità di informazioni che vengono fornite al cittadino dalla pubblica amministrazione (PA) del Paese in cui risiede. Il ruolo di un cittadino non dev’essere soltanto quello di fruitore passivo di servizi forniti dalla classe politica. Uno dei principi dei sistemi democratici è quello per il quale le istituzioni sono strutturate secondo le preferenze dei propri elettori e che quindi siano più efficienti rispetto ad altre forme di governo, come le autocrazie, in quanto è meno accentuata la differenza informativa tra cittadini e governanti. Per esempio, la libertà di stampa nei regimi democratici è fortemente incentivata, anche se non sempre con la stessa intensità in tutti Paesi democratici, perché permette al cittadino medio di conoscere le strategie dei governanti sull’amministrazione della cosa pubblica. Un cittadino maggiormente informato può fare pressione sui politici, tramite le elezioni, per orientare le loro strategie verso obbiettivi che egli considera migliori per il proprio benessere personale o punirli elettoralmente nel caso le politiche promesse in campagna elettorale non vengano mantenute.
Questo principio può essere implementato a livello pratico all’interno della digitalizzazioni della pubblica amministrazione, ovvero implementando dei dataset, cioè un insieme di dati strutturati in forma relazionale o non, in cui vengono raccolti i dati delle varie istituzioni (comuni, città metropolitane, regioni, ecc.) per varie tematiche (salute, ambiente, economia, ecc.), accompagnati da dei report virtuali che permettano di analizzare questi dati in formato aggregato. Con il PNRR più di 6 miliardi sono stati stanziati sulla riforma della digitalizzazione, ma si tratta per lo più di servizi che digitalizzano la relazione passiva tra cittadino come fruitore dei servi e PA. Sarebbe altrettanto utile permettere al cittadino medio di accedere in maniera comoda e veloce a informazioni, ove la legislazione italiana lo permette, che riguardano le istituzioni, soprattutto locali.
Per esempio, se da cittadino italiano volessi informarmi sullo stato delle finanze del mio comune di residenza (analizzare le entrate e le uscite contabili), ovvero comprendere come i governanti stanno amministrando il denaro estratto tramite tasse dal mio reddito per fornirmi dei beni pubblici, potrei trovarmi in una situazione desolante. Non avrei accesso diretto ai dati che sto cercando, oppure i dati sarebbero in un formato poco comprensibile. Tuttavia, non tutte le istituzioni italiane versano in questo stato. Il Comune di Milano è stato apripista nel rendere accessibili i propri dataset. Nel sito Open Data Milano posso accedete ai bilanci comunali di un determinato periodo, ma anche a dati e informazioni su altri temi.


Invece, se vogliamo fare la stessa cosa per il Comune di Roma, ci ritroviamo nella situazione desolante sopra descritta.

La reportistica dei dati è in formato pdf, e i dati sono aggregati secondo un formato specifico per gli addetti al lavoro. Ciò ha come duplice effetto quello di scoraggiare immediatamente chiunque non abbia una formazione economica e giuridica adeguata per interpretare le informazioni e, soprattutto, renderebbe difficile a qualsiasi professionista o cittadino di aggregare come egli voglia i dati a disposizione ed estrarne informazioni di qualità.
Per rimediare a queste deficienze, una buona iniziativa è stata quella della fondazione Openpolis con openbilanci. Ma anche in questo caso i dati di alcuni periodi sono mancati e riguardano solamente i bilanci dei comuni.

In sostanza, una maggiore digitalizzazione dei dati della PA potrebbe incentivare una maggiore partecipazione attiva alle istituzione del proprio paese e di conseguenza ad aumentare la pressione dei politici nel perseguire politiche di amministrazione del bene pubblico in maniera più efficiente ed efficacie. Alcuni casi di vantaggi apportati da una maggiore accessibilità dei dati della PA possono essere consultati nel sito dell’Unione europea data.europa.eu.