Circa un mese fa è scoppiata in Italia la polemica sul caro affitti. Ad oggi il tema è già stato derubricato, eppure il problema degli affitti elevati persiste. Come già sottolineato nell’articolo del 21 Maggio sul blog di libeRI! (La non-emergenza del caro affitto), le varie proposte suonano tutte più come dei rattoppamenti ad un problema sistemico, ignorando ogni regola di mercato quando si parla di incentivi o di aumentare le residenze universitarie.
Il fatto è che il problema persisterebbe in entrambi i casi, in particolar modo nelle grandi città come Roma, Milano o Bologna, ma anche nelle città puramente universitarie come Padova o Trieste.
Spesso si tende a sottostimare il problema con critiche elitarie e classiste: per esempio si dice di lavorare oppure di studiare in università meno prestigiose. Questo chiaramente nasce dalla cultura scolastica d’élite, la quale continua a considerare lo studio un lusso o un bene di pochi, quando uno degli scopi principali dell’istruzione è proprio quello di creare mobilità sociale; questa cultura è riscontrabile anche con i dati: basti pensare che l’Italia è penultima per laureati tra i Paesi membri dell’UE ed ha un tasso di immatricolazioni di quasi l’8% più basso della media dei 27.
Allora chiediamoci, perché? Sicuramente il problema non risiede esclusivamente nei costi di vita, ma certamente una spesa di 4/5/600€ mensili di affitto non aiutano, anzi, non aiuta chi già proviene da un ambiente non particolarmente agiato. È chiaro che vi è una problematica sociale non indifferente ed anche qui i dati parlano chiaro: l’Italia si trova in coda tra le nazioni industrializzate per mobilità sociale, come analizzato dal World economi forum, il quale posiziona l’Italia dietro a nazioni come Cipro, Polonia e Portogallo e leggermente sopra nazioni come l’Uruguay, la Russia e l’Ungheria.
Una riforma sistematica è perciò d’obbligo, ed esistono delle alternative ai campus universitari dei centro città; basti pensare al modello di campus universitario americano, ma senza andare oltreoceano, esistono degli esempi anche in Europa ed in Italia: un esempio è l’università di Tor Vergata, ma anche sedi private come l’H-farm campus, un campus privato, locato in provincia di Treviso, nato come incubatore di startup e che negli ultimi anni ha indirizzato le proprie finanze nella creazione di un campus universitario innovativo e stimolante.
In tal senso abbiamo intervistato il fondatore, e CEO, del campus, Riccardo Donadon.
Chi è Riccardo Donadon e com’è nato il progetto H-farm?
Riccardo, dopo due iniziative imprenditoriali digitali che gli sono andate molto bene all’alba della storia di Internet ha pensato che fosse giusto creare un luogo che potesse offrire l’opportunità a tanti altri giovani di cogliere le opportunità generate dalla trasformazione digitale. H-farm nasce a Ca’ tron perché negli anni ‘90 la Disney aveva valutato questa splendida porzione di territorio affacciata sulla laguna di Venezia ed a due passi dall’aeroporto di Venezia come la possibile sede del suo parco tematico europeo. Riccardo, ha immaginato qui invece una sorta di Sophie Antipolio Italiana con un grande parco dedicato al pensiero digitale a misura d’uomo.
Cosa vi ha spinto a investire nel settore dell’educazione?
Il settore dell’Education, come tanti settori industriali e di servizi, vivrà un profonda trasformazione digitale nei prossimi anni, ed H-farm ha un focus sull’accompagnare queste grandi trasformazioni, investendo in startup grandi o piccole, che possano supportare la transizione. Education però, a dispetto di qualsiasi altro ambito, ha una valenza che incide a livello base sullo sviluppo culturale ed economico di un territorio, quindi nel 2016 è stato deciso un grande investimento per supportare la crescita di un territorio e la creazione di un modello innovativo che potesse “ispirare” altri progetti analoghi.
Il modello H-farm è unico in Italia, un campus immerso nel verde dove imprenditori, studenti e professionisti possono incontrarsi e lavorare assieme; secondo lei questo è il modello di università del futuro?
Si. Nel FISICO assolutamente sì. Con la velocità imposta dalla tecnologia alla società non sarà più possibile tenere slegato il mercato dalla formazione e dall’innovazione. Nei prossimi 10 anni la tecnologia avrà un impatto impressionante sul mercato del lavoro e della formazione.
Ha sentito parlare delle proteste sul caro affitto?
Si certamente. Alcune cose le condivido altre meno. É una sfida molto complessa quella di tenere un costo della vita basso in città che sono inevitabilmente proiettate verso un caro vita coerente con spazi e servizi, purtroppo anche se si tratta di studenti.
Molti suggeriscono che l’unica soluzione al problema del rincaro affitti sia lo spostamento dei campus dai centri città alle zone extraurbane, cosa pensa di questa soluzione?
Se questa cosa è fatta in modo “pensato” e vengono valorizzate le competenze ed il grande patrimonio dei borghi italiani potrebbe essere interessante. Ma non può essere un ragionamento senza un’analisi strategica e di visione. L’Italia non è la Francia e polarizzare tutto su grandi città (Milano, Roma) è un errore su tanti ambiti, non solo quello della formazione.
Ritiene che il modello del campus di H-farm possa essere applicabile anche da altre università, pubbliche o private, nel resto d’Italia?
Assolutamente sì. L’Italia, ed in parte anche l’Europa, è terribilmente in ritardo su questi temi, ma nei Paesi anglofoni il modello del Campus esiste da almeno 200 anni. L’università pubblica è una grande conquista sociale ma la competizione fa crescere il mercato ed il mercato va aperto. Oggi la cosa più importante per un giovane che studia è l’esperienza che vive durante il suo percorso formativo, che deve essere in primis contemporanea nei contenuti e nella forma ma poi densa di relazioni ed incontri con il mercato.
In conclusione, l’Italia ha delle alternative. L’esempio H-farm è la prova che queste alternative sono realizzabili e che possono funzionare; manca solamente la volontà, di istituzioni, professori e politici di investire sull’ammodernamento, preferendo ignorare o tappezzare il problema degli affitti e i vari guai strutturali del sistema universitario italiano.