L’evento politico europeo più importante della settimana alle nostre spalle è sicuramente la tornata elettorale polacca del 15 ottobre per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Polonia, il supremo organo legislativo della democrazia polacca. Per capire la portata dei recenti risultati elettorali sia in chiave nazionale che in prospettiva europea si rende necessario fare una breve panoramica del sistema politico e istituzionale polacco.
La Polonia è una repubblica semipresidenziale, con un presidente come capo di Stato. Il potere esecutivo è esercitato dal Consiglio dei ministri e dal primo ministro, che funge da capo del governo. I singoli membri del consiglio sono, sì, selezionati dal primo ministro, ma vengono nominati dal Presidente della Repubblica e sottoposti necessariamente all’approvazione del Parlamento. Il capo dello Stato è eletto con voto popolare per un mandato di cinque anni. L’attuale presidente è Andrzej Duda, è un ex membro del partito conservatore Legge e Giustizia. D’altra parte, l’Assemblea Nazionale della Repubblica di Polonia è un parlamento bicamerale composto da una camera bassa di 460 membri, il Sejm, e un senato di 100 membri. Il Sejm è eletto con un sistema proporzionale e i candidati per il Sejm devono avere almeno 21 anni. Invece, il senato è eletto secondo il sistema elettorale maggioritario, con un senatore eletto da ciascuna delle cento circoscrizioni elettorali, e i candidati devono aver compiuto almeno i 30 anni d’età. Il Senato ha il diritto di modificare o respingere una legge approvata dal Sejm, ma il Sejm può annullare la decisione del Senato con un voto a maggioranza. Il mandato dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Polonia dura quattro anni.
Per poter essere rappresentato al Sejm, un partito deve superare una soglia di sbarramento del 5%, a eccezione di specifiche rappresentanze per le minoranze etniche. Sulla base di ciò, a essere state elette nel parlamento polacco il 15 ottobre sono state cinque forze, qui riportate in ordine di consensi raccolti: la coalizione Destra Unita, dominata nettamente dal già nominato Legge e Giustizia, partito ultra conservatore; Coalizione Civica, eterogenea forza europeista e avversario storico di Legge e Giustizia, capitanato dall’ex presidente polacco tra 2007 e 2014 e poi presidente della Commissione Europea Donald Tusk; Terza Via, coalizione tra lo storico ma sgonfio Partito Popolare Polacco e la giovane forza Polonia 2050; la Sinistra, coalizione afferente al PSE e in cronica crisi di consensi; infine, la Confederazione, unione dei partiti dell’estrema destra polacca Nuova Speranza e Movimento Nazionale.
Il Congresso, che si è confermato stabile intorno al 7% dopo il fragoroso successo delle scorse legislative del 2019, ha funto da appoggio per l’ultimo governo a guida Legge e Giustizia. Pur essendosi riconfermato primo, il partito guidato dall’inquietante figura di Jarosław Kaczyński é passato dal 43,6% di quattro anni fa al 35,4% di una settimana fa, rendendo impossibile la costituzione di un governo di maggioranza con gli estremisti di destra. L’ultimo governo ha messo in profonda crisi la democrazia polacca. I provvedimenti più impressionanti sono stati attuati nel campo della giustizia della distinzione dei poteri a sfavore dell’autonomia del potere giudiziario da quello esecutivo. Imitando quanto fatto da Orban in Ungheria, l’ultimo governo polacco di ultra destra ha accentuato quanto fatto dopo la prima affermazione al governo di Legge e giustizia nel 2015.
A marzo 2016 una legge di riforma della Procura in Polonia fuse le cariche di Ministro della Giustizia e di Procuratore Generale della Repubblica di Polonia in una sola persona: il Ministro della Giustizia. Successivamente, tra marzo e luglio 2017 il Parlamento polacco ha modificato la legge sui tribunali ordinari, con emendamenti fortemente criticati a livello internazionale: venne differenziata l’età pensionabile tra giudici uomini e donne, fu accresciuto il potere, già ampio, del Ministro della giustizia sul sistema giudiziario polacco, facendo selezionare al Ministro, dopo aver consultato il Consiglio Nazionale della Magistratura, i giudici delle camere disciplinari delle corti di primo livello e d’appello. Inoltre, fu stabilito un periodo di “prova” di sei mesi per i presidenti ed i vicepresidenti dei tribunali. A dicembre 2017 fu varata una nuova legge sulla Corte suprema, che prevedeva:
1) la creazione di due nuove sezioni nella Corte Suprema: una per giudicare i procedimenti disciplinari contro i giudici della Corte Suprema e una per giudicare i cosiddetti ricorsi straordinari, le controversie elettorali e di diritto pubblico;
2) la partecipazione a tali sezioni di membri laici nominati dal Senato, con piena discrezionalità del presidente della Corte suprema, i quali non necessitano di alcuna conoscenza giuridica per tale carica, cosa che, combinata con la selezione dei giudici da parte del CSM polacco e la piena discrezionalità concessa al presidente della Corte Suprema per nominarli nelle diverse sezioni e collegi, rende i procedimenti permeabili ad abusi politici;
3) la possibilità di ricorsi straordinari per riesaminare le sentenze passate in giudicato di altre corti e delle altre camere della Corte Suprema stessa, che possono essere introdotti dal mediatore e dal ministro della Giustizia nella sua veste ex officio di procuratore generale;
4) la diminuzione dell’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema da 70 anni a 65 anni, nonché il potere di deroga sul pensionamento di questi che è affidato al presidente della repubblica.
Passando agli atti politici dell’ultimo governo, il 14 febbraio 2020 Legge e Giustizia ha fatto approvare una ulteriore legge sulla Corte suprema con una procedura parlamentare accelerata ed eterodossa. L’opposizione in parlamento e la comunità giudiziaria hanno denunciato il nuovo progetto di legge come una legge-bavaglio. Essa prevede che le non meglio specificate “questioni politiche” siano escluse dai dibattiti nei collegi e nelle assemblee dei giudici, obbliga i giudici a dichiarare pubblicamente la loro appartenenza a qualsiasi associazione. Inoltre, la legge del 14 febbraio 2020 vieta qualsiasi messa in discussione della legittimità dei tribunali, degli organi costituzionali dello Stato e degli organismi incaricati di sorvegliare e far rispettare la legge, nel corso delle attività dei tribunali e degli organismi ad essi collegati. Con questa legge-bavaglio viene fatto espresso divieto ai tribunali ordinari e agli organismi dello Stato di determinare o valutare la legittimità della nomina di un giudice, o i poteri giudiziari derivanti da tale nomina e amplia l’elenco delle infrazioni disciplinari per i giudici, includendo infrazioni definite in termini vaghi come “azioni o omissioni che possono ostacolare il funzionamento della giustizia o renderla notevolmente più difficile”, “azioni che mettono in dubbio lo status subordinato di un giudice, l’efficacia della sua nomina o la legittimità di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia” o “attività pubblica incompatibile con i principi di indipendenza dei giudici”, oltre ad ampliare l’elenco delle sanzioni disciplinari. Le disposizioni della legge-bavaglio ampliano anche i poteri degli ufficiali disciplinari, introducono un’ammenda fino a 3000 złoty (circa 700 euro, che, visti i redditi medi polacchi, è moltissimo) per la mancata comparizione di un testimone per i tribunali ordinari, limitano i poteri delle assemblee dei giudici, le quali possono selezionare solo i delegati per partecipare alle riunioni del collegio in cui si discute il parere sui candidati, a favore dei collegi giudiziari, che saranno composti solo dai presidenti dei tribunali, sostituiti poco prima dal Ministro della giustizia. La legge del 2020, infine, cambia la procedura di elezione del presidente della Corte Suprema, abbassando notevolmente il quorum per il terzo turno di votazione da 100 a 32 giudici; se questo quorum non viene raggiunto, il presidente della Repubblica può nominare un presidente della Corte Suprema ad interim. Ancora più poteri, infine, vengono conferiti a due nuove camere della Corte Suprema: la camera per i rimedi straordinari e gli affari pubblici ha ora il potere di esaminare i casi in cui lo status giuridico dei giudici è messo in discussione.
L’accanimento della destra polacca e il suo spostamento su posizioni così radicali è dovuto al fatto che tra 2018 e 2019 vi sono stati casi di giudici che, facendo non politica ma il proprio lavoro, hanno rilasciato una serie di sentenze sui crimini di odio nei confronti della comunità LGBTQ+. Alla luce di ciò, la destra polacca al governo ha spinto sempre di più su una fantomatica ideologia gender quale minaccia della sinistra del XXI secolo e estendendo, senza successo, la battaglia reazionaria al cambio di sesso (permesso fin dagli anni ’60 nel paese e già molto complicato di suo) e all’aborto, ma senza grande successo, viste le imponenti manifestazioni pro-aborto in tutto il paese e che gli ultimi dati dimostrano che il 66% della popolazione supporta il diritto all’aborto, il 29% in più che nel 2014. Può fare impressione come, in Polonia più che in quasi tutte le altre parti del continente, le questioni sui diritti civili siano così divisive e abbiano creato in tempi recenti un così grande spostamento di voti a destra. La risposta non è semplice, ma una ragione fondamentale può essere trovata nel fatto che i polacchi di oggi hanno un grande bisogno di riferimenti identitari, essendo l’appartenenza territoriale e l’appartenenza ideologica molto deboli. Infatti, da un lato la metà del territorio polacco attuale (inclusi centri vitali della Polonia odierna come Poznan e Stettino) vedeva nei polacchi una minoranza più o meno sparuta a fronte del fatto di essere parte della Germania, costretta a cedere questi territori a una Polonia distrutta e sfrattata dai suoi territori orientali a favore delle repubbliche sovietiche di Bielorussia e Lituania guidate da Stalin. Dall’altro lato, i polacchi sono stati privati di una propria esperienza statuale per due secoli e spartiti tra tre grandi imperi fino al 1919. Dopodiché, hanno avviato una serie di fragili, brevi e fallimentari esperimenti politici e ideologici, che fanno sì che i polacchi di oggi non abbiano una coscienza e una cultura politiche forti e ben radicate. A fronte di ciò, il collante della nazione non poteva che essere il trittico lingua, cattolicesimo e anticomunismo. Si tratta di una combinazione potenzialmente molto esposta a derive nazionaliste e ultraconservatrici, ed infatti è stato così.
L’operato ultraconservatore e liberticida del governo di destra, tuttavia, non solo non ha piegato la Polonia sulle sue posizioni, ma ha avuto bensì l’effetto di polarizzare le opinioni dei polacchi, con, senz’altro, una crescita qualitativa del radicalismo di destra e conservatore, ma anche con una crescita di consensi per le posizioni progressiste. La Polonia, paradossalmente, era più conservatrice prima del governo conservatore che dopo. Anche la crescita del sostegno ai diritti gay, anche se distante anni luce dagli standard dell’Europa occidentale, è indicativa di come il pericolo per la democrazia rappresentato da Legge e Giustizia abbia condotto i polacchi a iniziare a rivedere le proprie posizioni a favore della libertà: tra 2010 e 2022 la percentuale di chi sostiene le unioni civili tra persone dello stesso sesso è salita dal 45% al 64%, la percentuale di chi sostiene il matrimonio tra persone dello stesso sesso è cresciuta dal 16% al 48% e infine la percentuale di polacchi favorevoli alle adozioni da parte di coppie non eterosessuali è passata dal 6% a un più incoraggiante 24%.
La situazione, pur essendo incoraggiante, è quindi ben lungi dall’essere rosea: se è vero quanto detto finora, va ribadito che ai quattro referenda populisti e sovranisti proposti da Legge e Giustizia in parallelo alle elezioni il 15 ottobre solo il 40% degli elettori si è espresso a fronte dell’affluenza di oltre il 70% alle legislative. Se è vero che il quorum non è stato raggiunto, vuol dire che le posizioni conservatrici riguardano oltre la metà dell’elettorato, quindi anche una parte cospicua di chi non ha votato per i partiti del governo uscente.
Alla luce di ciò, in ultima istanza vanno analizzate, senza trionfalismi facili, i profili dei due principali vincitori di questa tornata elettorale: Coalizione Civica e Terza via.
Coalizione Civica, come detto, è guidata dal politico di lungo corso Donald Tusk. Ha preso il 30,7% dei voti a fronte del 27,4% delle precedenti elezioni del 2019. Si tratta di una “Big Tent”, coalizione larga che raccoglie forze molto diverse tra loro, e per questo molto instabile, specie tenendo conto che dovrebbe governare con un governo di minoranza. La forza principale all’interno della coalizione, Piattaforma Civica di Donald Tusk stesso, ha posizioni popolari moderate, che ben si sposano con il Buon Movimento, di orientamento liberale moderato. Tuttavia, a predominare sono le formazioni di centro orientate a sinistra, che hanno strappato molti voti alla sinistra, che infatti è passata dal 12,6% del 2019 all’attuale 8,6%. Modern e Iniziativa Polacca hanno guidato questo passaggio di voti verso la Coalizione Civica. Più radicali verso sinistra nella coalizione sono i Verdi, mentre l’ala più a destra della coalizione è la cattolica Lega delle Famiglie Polacche. Nel suo raccogliere diverse istanze, la Coalizione Civica si è aperta anche alle istanze di un maggiore decentramento del potere da Varsavia agli enti locali, con Sì! Per la Polonia.
All’interno di Coalizione Civica un caso molto particolare e importante anche per leggere la situazione della coalizione Terza Via è quello di AGROunia. Si tratta di un partito con una precipua attenzione per i temi agrari, importantissimo per quello che è un paese in larga parte pianeggiante e rurale come la Polonia. Si tratta di una formazione che raccoglie la sinistra dell’antichissimo Partito Popolare Polacco. Questo partito è la seconda gamba di Terza Via e raccoglie le istanze più conservatrici e agrarie della coalizione. Infatti, raccoglie i molti voti presi da Terza Via nella parte orientale e rurale della Polonia, a sconfessare e ridimensionare quella visione semplicistica e fuorviante di un ambiente rurale esteuropeo appiattito su posizioni antisistema e sovraniste contrapposti alle grandi città europeiste.
L’altro grande gruppo in Terza Via è Polonia 2050. Se il Partito Popolare Polacco, con i suoi 130 anni di storia, è un membro quasi di diritto del PPE, Polonia 2050 fa parte di Renew Europe. Il leader di questa forza politica è il conduttore televisivo e giornalista Szymon Hołownia, che ha fondato Polonia 2050 nel 2020. L’orientamento di Polonia 2050 è piuttosto adatto a importare in maniera stabile e progressiva i valori liberaldemocratici e progressisti nella conservatrice e cattolicissima Polonia più di qualunque altra forza politica nazionale: si tratta di un partito che unisce in una originale ma funzionale sintesi cattolicesimo democratico, progressismo sociale, ambientalismo, autonomismo locale e liberalismo economico.
In conclusione, la Polonia uscita il 15 ottobre 2023 dalle urne costituisce senz’altro un laboratorio politico importante e sicuramente molto interessante, meritevole di grande attenzione per indagare i futuri orientamenti delle coalizioni europee e, soprattutto, lo stato di salute della democrazia sulla frontiera orientale del blocco atlantico e liberaldemocratico. Sempre che Coalizione Civica, Terza Via e la sinistra abbiano la lungimiranza di superare le rispettive differenze e lavorare su quello che le unisce, superando la tentazione di collaborare, magari spaccando le coalizioni, con Legge e Giustizia.